Luca Gargano
Luca Gargano
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Luca Gargano, Caraibi e rum: semplicemente sinonimi

 

Sulla mappa, la X non è sull’isola di Tortuga, né in mezzo al mar dei Sargassi. In effetti avrebbero un bel cercare pirati e bucanieri che si mettessero a caccia dei gioielli liquidi più preziosi del mondo del rum, perché – corpo di mille balene – il tesoro se ne sta al sicuro in un magazzino condizionato da 7mila metri quadri tra Novi Ligure e Serravalle Scrivia. Il posto meno caraibico che si possa immaginare.

È qui, a un passo dall’outlet e a due dall’uscita della A7, che il capitano Luca Gargano custodisce la sua collezione, finora mai mostrata al pubblico. È qui che ci riceve per una visita guidata a suon di aneddoti e sigarette, qualcosa agli antipodi di quelle esperienze noiose e un stereotipate di certi visitor center. D’altronde “Ruruki” (questo il suo nome polinesiano), l’aria della guida di museo non ce l’ha neanche un po’. Logico dunque che la visita si trasformi subito in un safari spaziotemporale, in un’avventura da romanzo, in uno Stargate che fra una bottiglia e l’altra ti risucchia in altri universi. Ma tiriamo il freno di emergenza e andiamo con ordine.


Parte della selezione di rum di Luca Gargano
Parte della selezione di rum di Luca Gargano

Luca Gargano, i Caraibi e il rum

Luca Gargano è senza esagerazioni l’uomo a cui il rum moderno deve il suo presente scintillante e il suo futuro ancor più luminoso. Figlio di un commerciante genovese di liquori, a 18 anni decide che di questi benedetti spiriti deve saperne di più, in particolare quello di canna lo incuriosisce. Quindi se ne va a lavorare in Martinica e dà inizio a una carriera (vita?) unica: lui, il rum e i Caraibi diventano un tutt’uno, visita infinite volte tutte le singole isole, conosce ogni distillatore, assaggia tutto. Panteisticamente, tutto scorre in lui e lui tutto trattiene. Per poi restituire.
La sua creatura, la Velier di cui è proprietario, diventa importatrice di brand mitologici; lui stesso diventa il più rivoluzionario e competente selezionatore di barili (oltre trecento i suoi imbottigliamenti); apre vie nuove, innalza il rum a spirito in grado di competere con il whisky di malto, si batte per il rispetto della sua identità tropicale e post-coloniale. Per farla breve, in parole, opere e colpi di genio diventa un profeta apolide dello spirito di canna, l’unico italiano unanimemente riconosciuto come un’autorità del settore.

Nessuno tranne lui, dunque, poteva mettere insieme la più grande collezione al mondo di bottiglie di rum. Perché questo abbiamo davanti, in un’ala del magazzino che tutto sembra tranne che una cattedrale dove riposano le reliquie di secoli di ars distillatoria caraibica e non solo. D’altronde il personaggio è tutto tranne che sacrale, dunque non è fuori registro che le sue 48mila bottiglie (4.200 referenze uniche soltanto di rum) siano allineate su degli scaffali anonimi e prosaici. A prima vista, sembrano tante corsie di un piccolo discount di provincia. Ti aspetteresti di trovarci il succo Bravo e il Prosecco Lekkerland. Invece ci sono i suoi introvabili Caroni, vintage degli anni Trenta, esemplari unici. Inizia il safari, il guardaparco e il suo ranger (l’amico polinesiano Lidwine, il vero custode delle bottiglie) ci prendono per mano e si parte.


Luca Gargano e Lidwine
Luca Gargano e Lidwine

Tra i Caroni e i Demerara di Luca Gargano

«Per me il rum per decenni è stato altro – racconta Luca, in t-shirt e con l’immancabile paglia accesa nonostante ci aggiriamo fra bottiglie di superalcolici – Il prurito collezionistico mi è arrivato dopo, quando nel 2010 ho visto cos’erano diventati i miei Caroni…».
I suoi Caroni. Stanno lì nella prima scansia, tutti in fila, come un corpo d’élite a una parata militare. Occorre subito fermare il safari e spiegare. Peregrinando tra gli alambicchi del Centro America, nel 2004 Luca arriva a Trinidad per visitare le distillerie attive, Angostura e – appunto – Caroni. Qui, a metà strada fra l’abbandono e la giungla, trova uno stock di barili di cui nessuno era a conoscenza. Caroni aveva imbottigliato poche cose con il suo nome (cose che sono comunque tutte in collezione), il suo rum eccezionalmente “heavy” veniva per lo più utilizzato nei blended. Luca ne coglie le potenzialità, brevetta il marchio («incredibilmente non lo aveva mai fatto nessuno, Caroni era solo il nome di uno stagno lì vicino») e negli anni imbottiglia rum eccezionali, a gradazione piena, invecchiati integralmente ai Tropici. La qualità del liquido e l’affascinante narrazione fanno il resto, e i Caroni di Gargano diventano oggetti di culto per i collezionisti, raggiungendo in asta prezzi esorbitanti, come d’altronde anche i suoi Demerara, che non per caso stanno accanto ai Caroni.

Il Demerara è un fiume della Guyana, Sudamerica equatoriale. Più o meno come lo Scrivia, no? Attorno al fiume, un po’ come successo per lo Speyside in Scozia, si è sviluppata una sorta di Bengodi regionale della distillazione. La Demerara Distillers è la depositaria di tutti i mark storici (le ricette) dei rum locali, da Port Mourant a Skeldon, da Albion all’impronunciabile Uitvlugt, da Enmore a Diamond, fino al Versailles, distillato in un alambicco di legno unico al mondo. Luca è stato amico fraterno di Yesu Persaud, lo storico presidente, e ha imbottigliato vere e proprie bombe. Skeldon 1978, per esempio, è considerato uno dei rum migliori di sempre. Anche per questo Bonham’s batterà all’asta a Hong Kong tutti i 134 imbottigliamenti Demerara e Caroni targati Gargano.


I rum Demerara della collezione
I rum Demerara della collezione

Riprendiamo il viaggio, cambiamo corsia e approdiamo nei Caraibi francesi, la terra dove scorre rhum agricole. Quando gli si chiede quale distilleria giochi la parte del leone nella collezione, Luca un po’ si commuove e ti porta davanti ai Saint James, la distilleria di cui è stato brand manager per l’azienda paterna, la Spirit. «Ho più millesimi di loro, mi hanno anche chiesto alcuni vintage che mancavano all’archivio della distilleria. Il 1918 e il 1929 ancora me li chiedono». Poi l’occhio cade su alcune bottiglie dall’etichetta consunta. Sono tante quelle scolme o scolorite, danneggiate o macchiate dal tempo, ma l’attenzione cade su una bottiglia del 1885: «Una volta la portai da Sandro Caponetto, gourmand sopraffino: si mise in ginocchio».


Alcuni rum della collezione Saint James
Alcuni rum della collezione Saint James

Il rum e le storie

Di storie così, si riempie presto il magazzino. Luca e Lidwine procedono e si fermano qui e là, scortati dalle facce di neri stilizzati e stereotipati che campeggiano su bottiglie come il Reggae rum, il Grand corsaire o i Negrita. Vestigia di un passato coloniale che ha segnato uno spirito sanguinosamente fondato sullo sfruttamento degli schiavi nelle piantagioni di canna.
La passeggiata prosegue con la bottiglia più costosa mai comprata: «Un Clement del 1966, ho speso più di 100mila euro, ha la base e il tappo in oro massiccio. Il tappo credo lo abbia Tanya, la mia compagna. Probabilmente è un’assicurazione in caso di separazione…».

Gli chiediamo poi se ci sia una bottiglia a cui è particolarmente affezionato. Ci indica una solitaria bottiglia un po’ anonima: Atimaono, Tahiti. «Il primo rum polinesiano che ho comprato. Per me, per quello che rappresenta la Polinesia, è la numero uno».

Una collezione di rum è un universo a quattro dimensioni: c’è la storia di questo spirito intessuta con quella delle migrazioni e dei commerci; c’è la storia delle distillerie; c’è la storia delle singole bottiglie; e la storia dell’uomo che vive mille avventure per averle. Per esempio, Luca ricorda di quando in Martinica fu raggiunto da una signora che gli vendette 36 bottiglie di Maniba rhum della collezione del marito, che le stava comprando per lasciarle alla figlia: «Poveraccio, non lo seppe mai».

Parte un altro gioco, domanda secca e risposta (quasi) secca. La più antica? «Eh, bisogna chiedere a Led dov’è…». Lidwine ci porta sicuro davanti a una serie di bottiglie scure, che sembrano uscite da un film di Indiana Jones. Le due Harewood 1780, rum di Barbados che ha fatto parte della «degustazione del secolo» tenutasi a Londra nel 2018, non vincono il premio. Che va a un Very fine Liquor rum from Kingston Jamaica, vintage 1750. Il tutto scritto a mano, come tante altre che sembrano replicare la calligrafia della nonna che etichetta le marmellate o quella di arguti speziali ottocenteschi.

Difficile da stabilire, invece, quale sia stata la più complicata da trovare: «Forse la Sloppy Joe, dal bar cubano in cui si ritrovavano Hemingway ed Erroll Flynn – ricorda Luca – Oppure la President Reserve di Wray & Nephew realizzata per il presidente Usa Ronald Reagan, con rum del 1906 proveniente anche dalla mitica Mona Estate. Quanto mi piacerebbe imbottigliare un Mona Estate, sarebbe il primo di sempre…».

Abbiamo citato Cuba, e si apre una finestra come su Google Chrome: le bottiglie pre-rivoluzione mai arrivate in Europa. «Questa è l’ultima bottiglia di Matuzalem pre-Fidel. E questi sono gli Havana Club veri – continua Gargano come un fiume in piena – Nel senso che sono gli ultimi imbottigliati dalla famiglia Arechabala prima che scappassero in America e che i castristi si appropriassero del marchio. A proposito, Fidel voleva chiamarlo Caney, ma uno spumante piemontese con quel nome fece causa e vinse. E allora si decise per Havana Club…”. Con il regime ebbe a che fare anche lo stesso Luca: «Lanciai il rum Ultima Revolucion. Ero all’Avana per trattare l’importazione di sigari e una mattina fui svegliato da alcuni agenti di Fidel, che mi dissero che al presidente “non gustava por nada” la bandiera cubana sull’etichetta. Se non avessi ritirato subito la bottiglia mi sarei dovuto scordare gli Habanos. L’abbiamo ritirato».

Ormai è una specie di salto di palo in frasca, di rum in rhum, a seconda della zona di provenienza. Ci mostra il suo primo imbottigliamento, un Bally “Reserve Cantarelli” 1970-1991: «La mia risposta al Barbancourt Veronelli: io l’ho dedicato alla Trattoria Cantarelli di Samboseto, il tempio dei buongustai italiani. E per l’etichetta ho scannerizzato il vestitino di mia figlia Margot». Sua sorella Benny è invece l’autrice della foto che anni dopo finirà sul suo Damoiseau 1980.


Il rum Bally Reserve Cantarelli
Il rum J.Bally Reserve Cantarelli

Sogni, ricordi, progetti

Tempo di bilanci, tempo di elencare rimpianti, orgogli e sogni. «Il primo rimpianto è aver detto di no a uno stock di Saint James. Me lo avevano proposto dopo la vendita a Cointreau, non era contabilizzato ed essendo una multinazionale volevano disfarsene. C’erano anche vintage introvabili, ma non lo comprai». Diversi invece i colpi di cui va fiero: «L’unica bottiglia di Mount Eagle del 1763. Il Courcelles 1948, il cru più antico di Guadalupa, i Duquesne precedenti all’accorpamento con La Mauny e Trois Rivieres, il Saint Etienne 1959 che mi ha sempre ricordato le bottiglie di Old Parr che vedevo quando mio padre apriva le casse in magazzino…». E ancora la serie “pirata” del bottaio olandese Van Wees, che imbottigliò i “fondi” dei barili del broker Scheer, e la collezione rilevata da Stephen Remsberg, il maggior collezionista al mondo prima di lui: «Le sue bottiglie sono sopravvissute perfino all’uragano Katrina. Mi disse: Luca, sei l’unico a cui le lascerei».
La fortuna, invece, lo ha baciato quando i ladri entrarono nella sede di Velier: «Sulla scrivania ho molte bottiglie, ma non le toccarono. Presero una borsa da jogging con tre rum commerciali e lasciarono un whisky giapponese Karuizawa. L’abbiamo venduto a 240mila euro…».

Qualche curiosità tecnica, in tanto romantico esotismo alimentato da palme intrecciate che abbracciano i vetri, sorge spontanea. «Il processo di autenticazione è lungo e laborioso – spiegano Luca e Lidwine – ora si fanno analisi chimiche complicate per capire se non sono false. Così come la conservazione delle bottiglie: ognuna ha una pellicola di plastica a proteggere il tappo, che spesso è coperto di ceralacca. Certo, la luce del sole che filtra dalle finestre non è l’ideale, vedremo…”. Il prossimo magazzino in costruzione, da 12mila metri quadrati, forse avrà un’area più idonea. Di sicuro, intanto la collezione è stata tutta catalogata e digitalizzata.


Luca Gargano nel suo magazzino
Luca Gargano nel suo magazzino

E il futuro? Gargano, che si gode l’incredibile boom di Velier (dai 90 milioni di fatturato nel 2019 ai 141 del 2022), lo vede con lenti bifocali. «Da un lato abbiamo vissuto l’età dell’oro dei collezionisti, con figli e nipoti che si sono disfatti delle bottiglie dei loro vecchi e il rum che sta battendo il whisky come presa di valore». «Dall’altro per me è sempre più difficile trovare millesimi mancanti o referenze sconosciute: ho razziato il razziabile, le ho tutte». Inevitabile dunque volgere lo sguardo altrove. «In Africa, dove ci sono distillerie interessanti in Ghana, nel regno degli Ashanti. Oppure in Giappone, con Nine Leaves». L’unica cosa sicura è però un’altra: «Da ora in poi le bottiglie voglio aprirle, per sapere se sono buone».

Detto, fatto. Un Barbancourt 1958 importato da Poggi si versa in tutta la sua soave eleganza. Ed è tempo di salutarsi, di dare un occhio alle damigiane di rum degli anni Trenta appena arrivate e ancora su un bancale («chissà cosa c’è dentro, boh…») e di qualche consiglio: «Quel che prende valore sono i single cask, che sono edizioni limitate, e le distillerie chiuse o mitiche. Sono quattro le direttrici che definiscono la classifica dei marchi: la storia della distilleria, gli alambicchi, la profondità dei millesimi e la qualità sensoriale. Io mi sono fatto le mie due classifiche – conclude – Per i rhum agricole Neisson e Saint James. Per i non agricole Appleton e Hampden – godetevi il reportage dalla Giamaica di Spirito Autoctono in questo articolo Demerara sub iudice, perché produce El Dorado, un rum industriale…».
I suoi imbottigliamenti, anche se sono in cima alle bottiglie più ricercate e rappresentano dei veri unicum (la serie Habitation con i primi Long Pond e Monymusk mai imbottigliati, per esempio), non li conta. Perché come canta Julio Iglesias, Luca Gargano è un pirata e un signore. «Alcuni ho perfino dovuto ricomprarli. Avevo detto ai miei: “Qualsiasi cosa succeda, anche se sono ubriaco e voglio regalarle a qualcuno, voi dovete impedirmelo con ogni mezzo, perché dobbiamo sempre averne almeno 6 per tipo”. Non ce l’hanno fatta a fermarmi, sono fatto così…».
Per fortuna. Nostra e del rum.

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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