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Sogno 1 – Realtà 1, la partita di Manifattura Italiana Spiriti

Tra gin di carattere, approccio di business e progetti per il futuro, il racconto della piccola distilleria di Varese

Via della Selvetta te la aspetti bucolica, d’altronde il nomen omen varrà anche per i toponimi, no? È l’indirizzo della Manifattura Italiana Spiriti, la distilleria di gin varesina che a marzo compirà il suo primo anno di vita produttiva. Eppure di agresti spazi boschivi non se ne vedono molti, arrivando dalla A8 e da Buguggiate. E quando il navigatore dice che siamo arrivati, dopo un piccolo sottopasso accanto alla superstrada, il paesaggio è quello della industriosa provincia lombarda: un cancello, una casa, un cortile con un barbecue e un capannone. Selvette zero, confermiamo. E forse è giusto e autentico così.

Già, perché tutte le distillerie nascono da tre ingredienti: passione, sogno e business. Chi rimane troppo ancorato ai primi due, perde di vista il terzo. Che non è un optional, come sa bene l’imprenditoria locale. E come sanno altrettanto bene i quattro fondatori di Mis, saldamente piantati, germogliati e cresciuti fra Milano e Varese. Lasciano ad altri le iperboli e le sinestesie, gli slogan motivazionali e le sineddoche evocative e si concentrano sul prodotto. Che è re, regina, alfiere e cavallo quando si gioca sulla scacchiera dei distillati.

Ad accoglierci ci sono due dei soci, Marcello Biagini e Alessandro Pasquinucci. Sono alle prese con una cotta difficile: un cliente ha chiesto un gin dalle botaniche particolari ed esotiche, ognuna coi suoi tempi di macerazione e preparazione, e c’è un po’ di fermento. Gli altri due componenti della squadra – Lorenzo Bergna ed Egidio Bonsignore – sono assenti giustificati. Per cui, mentre assaggiamo un mini-gin tonic con uno degli imbottigliamenti realizzati per un’enoteca di Varese, sono Marcello e Alessandro a raccontare.



Tutto ha inizio con un viaggio con il Whisky Club Italia di Claudio Riva (anche co-fondatore di Distillo, con cui abbiamo elaborato i dati sulle distillerie italiane). In Scozia i quattro, che proprio grazie al whisky si sono conosciuti fino a diventare compagni di malto, la buttano lì, con l’ottimismo fanciullesco di chi dice di voler fare l’astronauta: «perché non apriamo anche noi una distilleria?» Eh, bel sogno. Ma la realtà è diversa, in Italia distillare whisky è complicato, gli investimenti mostruosi, gli utili tardivi. E poi quando l’aereo che li riporta a Malpensa dalle Highlands atterra è l’8 marzo 2020. Festa della donna, ma soprattutto primo giorno di lockdown. Realtà 1, sogno 0.

Però per fortuna nella vita c’è spesso una partita di ritorno. E dunque il piano procede, con la consulenza di Riva: si visionano siti adatti alle esigenze di un laboratorio alimentare, si sceglie l’ex falegnameria di via della Selvetta, si parte con i lavori di ristrutturazione («ho anche dovuto imparare a usare il martello pneumatico», sorride Alessandro) si entra facendosi il segno della croce nella selva – stavolta vera, aspra e forte – della burocrazia italiana… E così, quando da Frilli arriva l’alambicco Cecco e dalle dogane – qui più solerti che altrove per la vicinanza con l’aeroporto – arrivano le autorizzazioni, si parte sul serio. E a marzo 2022 ecco lacrimare le prime stille di gin Mis. Realtà 1, sogno 1.



Cecco merita due righe di presentazione. Ha il nome di Angiolieri di “S’i fossi foco” e del mugnaio di una canzone dei Mercanti di liquore, ed è ancora splendidamente scintillante. Pot still da 200 litri (il carico ideale va dai 43 ai 140 litri), ha una caratteristica non usuale fra le nuove distillerie: è alimentato a fuoco diretto. Il che significa solo una cosa: lo spirito non mancherà di carattere. Una volta presentato l’attore protagonista, giusto parlare un po’ del resto del cast di questo bel film. C’è il ginepro, che proviene da una tenuta di Anghiari, ad Arezzo, con le sue bacche grasse e resinose. C’è l’alcol di grano di Sacchetto. Ci sono le botaniche essiccate e fresche, quelle che vengono sbucciate, pelate, tagliate, spremute e poi messe a macerare prima della distillazione, ma anche durante, appese in sacchi di tela all’interno dell’alambicco, su ganci fatti costruire apposta per consentire una maggiore estrazione degli aromi. Ci sono le più prosaiche macchine per imbottigliare e filtrare.

Parlare solo di ginepro e alambicchi senza soffermarsi sul gin, però, è come pretendere di dissertare di Formula 1 descrivendo frizioni e paraboliche, ma senza raccontare le corse. E dunque facciamo la conoscenza dei tre (più uno) gin che nascono qui, tutti in small batches. C’è Ginsubria, nove botaniche per un gin erbaceo e fresco, dalle spiccate note aromatiche di artemisia, che rappresenta il territorio del Varesotto e che funziona benissimo anche nel Martini cocktail. C’è Mela, che – giusto per continuare a parlare di nomen omen – non solo riunisce in una parola le iniziali dei quattro fondatori, ma richiama anche la botanica principale, ovvero la melannurca campana. C’è poi Aviogin, il navy strength di casa a 57% con una “botanica misteriosa” (il pepe…) che ha vinto l’Ampolla d’oro 2023 (l’annuncio in questo articolo). E infine c’è il Ginettone, nato come esperimento per un cliente che ha poi virato su un prodotto più a base di anice stellato: «Solo che era così buono, così divertente l’idea di un gin al panettone, che alla fine l’abbiamo fatto con la nostra etichetta».



Ovviamente gestire una distilleria è tutto tranne che un lavoro abitudinario. Così se i primi batches erano a base di botaniche essiccate (le mele per esempio), pian piano si è passati alla frutta fresca. Che è più soggetta alla stagionalità e necessita ovviamente di maggior lavoro, ma che rende molto di più in termini di aromaticità. E che distillare sia un’attività avventurosa lo testimoniano anche i tanti gin realizzati conto terzi: dal classicissimo Inscì veghen per il Milano Whisky Festival all’HP per l’Harp Pub di Città studi, fino a piccoli lotti come l’Allocchi e Alambicchi (karkadè e fiori di loto), per i partecipanti a una giornata con il clan italiano della Scotch Malt Whisky Society, o il Trepallgin, a base di pino silvestre. C’è chi arriva con un’idea precisa di mango («Why mango?», diceva uno famoso spot), chi addirittura con una ricetta rigorosa da seguire, chi invece si affida, chi ha in mente delle suggestioni di oliva, caldarroste, achillea… Si discute, si fanno i primi test, si sceglie la formula magica e poi, nel gran giorno, il cliente viene ad assistere alla cotta, come in sala parto.

Quasi tempo di salutare e lasciarli lavorare, ma prima tre curiosità: la filosofia, il futuro, la concorrenza. La filosofia è semplice e basta un sorso dei loro gin per coglierla: «Botaniche di qualità, spirito bello corposo e unicità. Cerchiamo gin con una o due botaniche di carattere, che li rendano unici – spiegano -. Oggi ci sono tantissimi gin, spesso ottimi, ma spesso anche tutti simili. Noi proviamo a fare qualcosa che esca dal coro, che sia riconoscibile anche per i bartender, che possono usarli per i loro twist. Per esempio, l’Aviogin col Negroni sai che buono è?…». Dal coro, il discorso scivola sulla massa. La massa di distillatori di gin che spuntano come funghi nelle selvette: «Il mio paese – spiega Alessandro – fa 2.500 anime: distilliamo gin in tre. Di sicuro la concorrenza c’è ed è forte. Anche nell’approvvigionamento delle materie prime di qualità». Non resta che puntare di nuovo sul sogno, che pian piano non solo ha rimontato, ma si è proprio trasformato in realtà. I gin di Manifattura Italiana Spiriti che finiscono nelle bottigliere di enoteche, alberghi e ristoranti, i clienti che chiedono batch per la regalistica o per i loro locali, l’idea di lanciarsi nelle gin-bomboniere… Il presente e il futuro non potrebbero essere più reali e meno onirici di così. Di tempo ce n’è, di spazio accanto alla superstrada senza selvette, pure. E Cecco ha tanta voglia di un fratellino.



 

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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