Renato Manfrè, “negli spirits cerco integrità di gusti e profumi”

Il patron del Flora a Jesolo svela le referenze (italiane!) che non possono mancare nella sua station. E omaggia Fosco Scarselli

Autodidatta, dal 1975 al 1985 Renato Manfrè ha lavorato in cucina tra ristoranti e alberghi. “Ho avuto la fortuna di incontrare molti grandi maestri in quel periodo, grandi professionisti”, rimarca il patron del ristorante Flora di Jesolo, che oggi gestisce con la famiglia, dedicando grande attenzione al mondo spirits e in particolare alla mixology come proposta abbinata all’esperienza gastronomica.

Renato, dopo la gavetta quali sono state le tappe che vi hanno portato al Flora?

“Dal 1985 siamo riusciti a ideare locali di successo come L’invito di Eraclea, il Campiello di San Donà di Piave, il Laguna di Jesolo e per arrivare al presente con il nuovo progetto Flora – cucina botte vino. Amiamo accogliere le persone, tutto è studiato per far star bene i nostri ospiti, dando valore alle piccole cose… un sorriso, un fiore, un frutto maturo appena raccolto. È la firma della nostra famiglia”.

Se dovesse definire in tre parole il vostro stile dietro il bancone quali utilizzerebbe?

“Informale, professionale e amichevole”.



Qual è il vostro signature? Perché e come lo ha costruito?

“I nostri signature sono Flora in Wonderland, che rispecchia la personalità del locale, basato su un succo di frutti rossi e servito in una teiera inspirato al Paese delle Meraviglie; Ametista, nato da un gioco di colori e sapori, composto da una tonica a base di olive e limonata e il gin Illusionist che, a contatto con questa tonica, prende il colore della pietra preziosa”.

Quali sono i suoi Spirits del cuore? Quali sceglie di servire e magari di consumare in purezza?

“I gin, tra i quali tanti italiani: Infinito Gin di Rosati 1877, Gin Pepe di Fontezoppa e il veneziano Gin dei Sospiri. Poi l’Anisetta Rosati, nata nella farmacia di Ascoli Piceno, e l’Amaro Rosso particolarmente erbaceo di Bonaventura Maschio, entrambi prodotti naturali e di qualità tutta italiana”.

Qual è il suo rapporto con gli spiriti italiani? Cosa apprezza particolarmente dell’offerta del nostro paese?

“Siamo sempre alla ricerca di prodotti particolari, creati da piccole realtà, nei quali i gusti e i profumi emergono nella loro integrità”.

Ci svela alcune delle referenze che utilizza nella sua mixology? Cosa non può mancare nella sua bottiglieria?

“Non può mai mancare il Vermouth Garbata con cui preparo il mio American mood, ma un’altra cosa che non manca mai nella mia station sono i particolari decorativi”.



Nel vostro ristorante giocate molto di pairing tra mixology e proposta gastronomica. Come lavora in questo percorso di accompagnamento?

“Sì, lo faccio spesso in maniera semplice. Ad esempio Ostridrink’s è composto da tre ostriche di diversa provenienza, da accompagnare a shot di tre spiriti distinti e da degustare tutti d’un fiato. Oppure i nostri miscelati predinner accompagnati da una selezione di cicchetti”.

Quali sono gli errori più comuni nel food pairing?

“Sovrastare tutti i sapori, spesso e volentieri è l’errore nel pairing di drink e food”.

Quando finisce il servizio e torna a casa cosa beve?

“Mi godo una grande birra per pulirmi il palato da tutti gli assaggi che ho fatto con amici e clienti”.

Un bartender di alto livello ha dei segreti o molta, molta consapevolezza?

“Molta consapevolezza e anche qualche piccolo segreto, ma soprattutto una grande dose di fantasia professionale”.

Se dovesse indicare un nome che ha segnato la storia della mixology o che ha portato una svolta nell’esperienza degli spirits quale sarebbe?

Fosco Scarselli, il creatore del cocktail italiano più ricercato: l’Americano”.

Dopo qualche divagazione tra Nietzsche e Wittgenstein, è tornato a Epicuro. E così scrive di vino, sapori e spirits, di viaggi, di teatro e danza. Veneziano, fa base a Praga. Ama il whisky scozzese e le Dolomiti.

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