Alessandro Serafin, una vocazione nata a Londra

Il barman del Tacco11 – rooftop bar dell’hotel 5 stelle j44 sul litorale di Jesolo – si racconta e rivela un’attenzione speciale per gli spirits del territorio. Molto homemade e la sfida del food pairing

Nel 2007 decide di fare un’esperienza all’estero e approda a Londra. E proprio nella capitale inglese Alessandro Serafin incrocia passione e occasione. “Casualmente, ma secondo me anche un po’ per destino – dice – mi ritrovo una sera a fare il barback in un locale notturno in sostituzione di un amico ammalato. Finito il turno mi chiedono di rimanere… e così inizia la mia storia da bartender”.
Alessandro lavora dietro al bancone del bar londinese per 6 mesi, ma poi torna in Italia per la stagione a Jesolo. “Torno per lavorare in un locale del centro come cameriere – racconta – però è il bancone ad attrarmi. Inizio allora a frequentare i corsi Aibes. A lezione conosco un barman che ha un american bar a Motta di Livenza e mi chiede di lavorare per lui. È la mia prima vera esperienza dietro il banco. Ci rimango per due anni e successivamente faccio varie stagioni in un locale jesolano molto noto in piazza Mazzini”.
Dopo quattro anni in un ristorante/enoteca del trevigiano, dove inizia anche ad apprezzare e conoscere il mondo del vino, e qualche breve passaggio nell’entroterra veneziano, Serafin è approdato quest’anno al j44, un 5 stelle sul litorale di Jesolo dove cura la selezione degli spirits e la proposta di mixology.



Alessandro, se dovesse definire in tre parole il suo stile dietro il bancone quali utilizzerebbe?
«Frizzante, preciso, ruffiano».

Qual è il suo signature? Perché e come lo ha costruito?
«Di signature ne ho diversi, ma sono particolarmente affezionato a un drink che mi ha permesso di arrivare al terzo posto a una importante competizione a Milano. È un cocktail a base di sciroppo ai fiori di sambuco e cannella homemade, succo di lime, vodka aromatizzata alla pera, martini gold e ginger ale».



Quali sono i suoi Spirits del cuore? Quali sceglie di servire e magari di consumare in purezza?
«Amo il gin e adoro il pisco, acquavite peruviana ottenuta dalla distillazione di vino bianco e rosato. Il pisco sour è un drink perfetto anche per l’aperitivo. Per non parlare del whisky, sia in miscelazione sia da bere liscio… ultimamente apprezzo molto i giapponesi».

Ho apprezzato alcuni dei cocktail al Tacco11. Qual è il suo rapporto con gli spiriti italiani? Cosa apprezza particolarmente dell’offerta del nostro Paese?
«In Italia abbiamo spiriti molto interessanti. Al Tacco11 cerchiamo di valorizzare e spingere alcuni prodotti del territorio, per esempio il Gin dei Sospiri, realizzato con botaniche raccolte a mano nell’isola di Sant’Erasmo a Venezia, da cui sono nati tre signature della nostra drink list».



Qual è la linea di approvvigionamento? Rapporto diretto coi produttori o distribuzione?
«Lavoriamo con due grossi distributori della zona. Questo ci permette di avere ampia scelta sui prodotti, considerando anche che il gruppo per cui lavoro possiede quattro hotel a Jesolo».

Ci svela alcune delle referenze che utilizza nella sua mixology?
«Utilizzo molti sciroppi e shrub home made. Mi diverto molto nel prepararli e a trovare abbinamenti che funzionino. Mi permettono di realizzare nuovi drinks e ottimi twist on classic».

Cosa non può mancare nella sua bottiglieria?
«Nella mia bottigliera non mi faccio mancare una bella selezione di bitter e vermouth. Mi piace giocare con i loro abbinamenti per creare l’Americano o il Negroni su misura del cliente. Ultimamente sono molto preso dal vermouth Intrigo, prodotto locale veneziano… buonissimo da bere anche on the rocks».



Nel vostro ristorante giocate di pairing tra mixology e proposta gastronomica? C’è un rapporto tra rooftop e sala?
«Il food pairing prende sempre più piede nel mondo dei cocktail bar. La nostra ricerca inizia dal giusto abbinamento tra cocktail e la decorazione che andremo a realizzare che sarà parte integrante del drink, studiata per ampliare l’esperienza gustativa. Le decorazioni sono sempre più complesse, pensate in ogni piccolo dettaglio».

Il food pairing la convince per la mixology? Come lavora nei percorsi di accompagnamento?
«Abbinare perfettamente piatti e drink è ormai un’arte, la ricerca di quella sinergia ideale tra drink e food, a caccia di punti di incontro tra materie prime, tecniche di cottura e spunti comuni per esaltare aromi di cibi e cocktail».

Quali sono i suoi accostamenti preferiti? Perché?
«Il mio abbinamento preferito è sicuramente rum-cioccolato, mi diverte trovare la giusta intensità di cioccolato da abbinare a un rum agricolo o rum invecchiati».



Quali sono gli errori più comuni nel food pairing?
«Un errore può essere quello di non avere uno sguardo rivolto alla tradizione culinaria del nostro Paese. Spaziare con le idee è bello, ma spesso la semplicità è la migliore proposta che possiamo offrire».

Quando finisce il servizio e torna a casa cosa beve?
«Una bella birra fredda, soprattutto in questo periodo caldo».

Un bartender di alto livello ha dei segreti o molta, molta consapevolezza?
«Sicuramente tanta passione e molta preparazione e formazione, sia sui libri sia sul campo. Aggiungerei una buona dose di umiltà».

Se dovesse indicare un nome che ha segnato la storia della mixology o che ha portato una svolta nell’esperienza degli spirits quale sarebbe?
«Non posso non menzionare il maestro Salvatore Calabrese, un icona di maestria e classe per chi come me svolge ogni giorno questa bellissima professione».

 

Dopo qualche divagazione tra Nietzsche e Wittgenstein, è tornato a Epicuro. E così scrive di vino, sapori e spirits, di viaggi, di teatro e danza. Veneziano, fa base a Praga. Ama il whisky scozzese e le Dolomiti.

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