Aberloyr
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“The art of whisky”, viaggi interstellari sul fondo di un dram

Così come il pessimista vede il bicchiere mezzo vuoto e l’ottimista mezzo pieno, il romantico vede il bicchiere come un portale verso emozioni e storie, mentre lo scienziato lo vede come un ammasso di particelle chimiche. Poi c’è la realtà, che prende un pizzico di qui e un pizzico di là e mette d’accordo tutti.

Chiunque sia capitato su questo sito sa che ci sono mille modi di raccontare il mondo degli spiriti, autoctoni o meno. Perché ogni bottiglia porta in sé esperienze artigianali e vissuti familiari, legati a doppio filo con aspetti economici e con un insondabile ventaglio di sensazioni evocate. Discettiamo di vermut come botanici, di bitter come poeti futuristi, di grappe come alpini irredenti e di gin come product manager, ma sempre di spiriti si parla.

Ecco, il libro di cui si chiacchiera oggi è l’esempio più concreto dell’intersecarsi di tanti piani. Si intitola “The art of whisky: the vanishing spirit of single malt Scotch” (Chronicle books) ed è la cosa più bizzarra, immaginifica e originale nel panorama densissimo della pubblicistica a tema distillati & affini. Non una guida alla degustazione, non un trattatello storico, né tantomeno un memoir egoriferito, bensì un volume fotografico dal respiro fantascientifico. E ve lo proponiamo in questo World Whisky Day.


Balvenie
Balvenie

Ernie Button, la fotografia e The art of whisky

Ernie Button è un fotografo americano, con una pluridecennale esperienza nel mondo (anche) degli spiriti. Il che significa ritrarre paesaggi splendidi che ospitano distillerie, nonché facce segnate dal lavoro tra barili e assaggi. Questo suo progetto, però, è diverso. Perché è un lavoro che lo ha impegnato per una quindicina d’anni senza portarlo più in là del suo laboratorio. Tutto ha inizio da un gesto normale, ovvero quello di bersi un whisky. Il bicchiere vuoto rimane lì sul tavolo, Ernie se ne va a letto. La mattina dopo, è tempo di riempire la lavastoviglie. Ernie prende il bicchiere vuoto, lo alza controluce e improvvisamente quel che vede sul fondo lo stupisce. Il distillato, evaporando, aveva lasciato degli affascinanti ghirigori.

Nasce così “The art of whisky”, un incredibile e lisergico viaggio attraverso un centinaio di fondi di bicchieri di single malt fotografati e ingranditi. Un procedimento complesso, che parte dall’osservazione delle peculiari trame lasciate dal whisky, diverse a seconda della gradazione, dell’età di invecchiamento, della temperatura. Poi, l’artista sceglie angolazione e colore della luce, l’ingrandimento, i filtri. Infine scatta. Dieci ore circa per ogni opera. Ma ne vale la pena.


Aberlour
Aberlour

Già, perché il risultato è da lasciare a bocca aperta. Ognuno ci può vedere quel che vuole in questi dipinti astratti ad alto tasso alcolico. Pianeti alieni, nebulose, colonie di organismi al microscopio; o ancora paesaggi desolati, dune, onde, cieli, caverne, gironi infernali, macchie ossidate, metalli fusi, sezioni di tronchi, vetri ghiacciati… Mondi su mondi che si squadernano su ogni pagina, e tutti a partire da aldeidi, acidi, tannini, fenoli, esteri. Sono i “congeneri”, ossia i composti chimici (ne sono stati classificati circa trecento) responsabili delle sensazioni gusto-olfattive degli spiriti. Come si legge nella prefazione di Charles MacLean, punto di riferimento dello Scotch, i congeneri si sviluppano durante la fermentazione e soprattutto durante la maturazione in botte. Negli spiriti bianchi sono infinitesimali, ed è per questo che Ernie non è riuscito a creare granché partendo da vodka e gin. Al contrario, nei “brown spirits” come rum e whisky rappresentano il 3% del volume. Sono loro a rimanere sul fondo del bicchiere e a disporsi un po’ come il Fato e la fisica vuole, così da tracciare il disegno su cui Ernie si sbizzarrirà.


Macallan
Macallan

Chimica e immaginazione, di nuovo. Non è molto diverso da quel che succede quando degustiamo qualche soluzione idro-alcolica che ci fa tornare in mente sapori antichi. La fredda combinazione materica di molecole che genera fantasie e ricordi. Ma la cosa che più impressiona è vedere queste istantanee allucinogene accoppiate ai nomi dei whisky che hanno dato loro vita, come se fossero fototessere di marchi a cui siamo affezionati. Il “volto” di Macallan è una biglia di marmo, quello di Lagavulin un calderone pressofuso; Glengoyne viene da una galassia degna di Blade Runner, e così via.

Non si contano gli artisti che dipingono con il vino o con il caffè. Di artisti che ti fanno viaggiare a bordo di un barile di Scotch, sembra ce ne sia solo uno.

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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