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La sostenibilità si può bere? Flor de Caña ci insegna come si fa

Oggi sembra essere tutto eco-friendly, dalla t-shirt fino a ciò che mangiamo e naturalmente beviamo, spirits compresi. Ma è davvero così? Se di sostenibilità ormai, non se ne può proprio più fare a meno anche nei nostri drink, allora affidiamoci a pratiche ben avviate e non solo a semplici tendenze del momento.

Su questo tema Flor de Caña – un’istituzione in fatto di rum – ha saputo costruire la sua brand image proprio sul rispetto dell’ambiente, sensibilizzando verso queste tematiche non solo il consumatore, ma tutti coloro che collaborano con il marchio, mondo del bartending compreso (per approfondire, potete leggere questo articolo sulla scorsa edizione della Sustainable Cocktail Challenge 2022). Come si aprono le coscienze verso nuove best practices non è un mistero, buona comunicazione, ma soprattutto fatti.

Con il brand ambassador romano di Flor de Caña, Marco Ferretti abbiamo ragionato – in occasione della prossima Sustainable Cocktail Challenge 2023 – su come fare davvero sostenibilità e creare un autentico cocktail zero waste.


Marco Ferretti
Marco Ferretti

L’impegno di Flor de Caña

Flor de Caña ha sempre creduto nel rispetto dell’ambiente ed è sul pezzo da quando la tematica è emersa come una vera e propria emergenza. In Nicaragua, sede storica del brand, lavorare cercando di essere in armonia con la natura è stata la priorità sin dall’inizio – ben 130 anni fa – forse però, è arrivato il momento di fare di più.

Negli anni Novanta si è iniziato a lavorare verso la direzione della sostenibilità al 100% su tutta la filiera. La famiglia Pellas, quindi, con Don Carlo prima ed Edoardo poi, hanno lavorato per garantire ai dipendenti turni di lavoro in campo regolari, condizioni ottimali di vita in generale. A questo inoltre, si aggiunge un processo di produzione del rum meno impattante possibile. Sono passati circa trent’anni da questi primi interventi che hanno portato Flor de Caña all’apice del successo. Oggi la casa produttrice contempla – tra le poche al mondo – due importanti certificazioni, la Carbon Neutral e la Fairtrade.

Su questo punto Marco, come rappresentante del brand a tutti gli effetti, rimarca fortemente «In Nicaragua, dove a volte è più facile affidarsi a pratiche non proprio amiche dell’ambiente, si è lavorato per offrire un’alternativa al territorio e alle persone. Con la certificazione Fairtrade si assicurano buone condizioni di vita per ogni dipendente. Flor de Caña in azienda contempla anche un ospedale e assicura assistenza sanitaria, ma non solo. Grazie a degli accordi specifici è possibile anche assumere i figli dei già dipendenti una volta arrivati alla congrua età».

Secondo Marco, fare sostenibilità significa anche questo e non puntare solo ed esclusivamente allo zero waste perché si tratta solo di una conseguenza legata alle buone pratiche che partono dalle persone. A ciò si unisce anche una produzione che utilizza tutte le risorse possibili del territorio in modo ragionevole, dai processi di realizzazione del rum fino al packaging.


Il rum Flor de Caña

La Sustainable Cocktail Challenge e gli eco-drink

Se su queste basi costruire bene e nel tempo, per Flor de Caña, diventa la regola e un’autentica mission da comunicare. Per arrivare a sensibilizzare proprio tutti si parte dai bartender, quindi grazie a competition mirate vengono messe a confronto diverse culture e “mani”, shakerando rum e creando drink eco-friendly.

«Con la Sustainable Cocktail Challenge si diffonde il verbo della mixology sostenibile – secondo Marco – Le coscienze dei bartender si aprono al mondo del no waste a tutti i livelli. Qui ci si mette alla prova modificando alcune cattive abitudini imparando a lavorare diversamente, pensando sostenibile. Siamo ancora una goccia nel mare magnum del bartending tradizionale, ma stiamo provando a fare la differenza».

In cosa consiste la Sustainable Cocktail Challenge ce lo racconta nello specifico Marco «Il rum Flor de Caña è presente in 72 paesi. Ognuno di questi ha la sua competition e ogni vincitore ha accesso alle finali mondiali in Nicaragua che si terranno a febbraio. In Italia, proprio 19 aprile, è stata aperta la piattaforma che permetterà a tutti i bartender italiani che ci credono di iscriversi, ovviamente presentando una loro creazione a zero spreco, dal drink al tumbler. La possibilità di entrare in gara resta aperta fino al 31 agosto». Così Marco Ferretti si prepara a vivere un’altra eco-challenge che porterà un nuovo vincitore a misurarsi con un drink innovativo da tenere nella carta del suo locale per almeno un mese «Un modo per creare maggiore movimento social e dare la possibilità ai clienti del bar di sperimentare un nuovo modo di bere consapevole».

Realizzare un cocktail sostenibile

Come si costruisce un drink sostenibile è la vera domanda a cui Marco non fa mancare una pronta risposta «Partiamo subito da una base fondamentale, cioè niente scarti. È necessario saper gestire le materie prime e l’approvvigionamento, cercando di non fare eccessivo magazzino e lavorare con ciò che davvero serve. Per acquisire questa competenza bisogna fermarsi a riflettere, studiare e capire come agire, tenendo conto della natura e provenienza di ogni prodotto, quale processo affronta per arrivare a noi. Un lime, ad esempio, prodotto in Messico non sarà mai sostenibile, primo perché non sappiamo in campo se le buone condizioni dei lavoratori sono garantite, se c’è sfruttamento oppure no, poi quale processo affronta il lime per arrivare a noi, quindi trasporto aereo e gomma, che genera dispendio di combustibile. Infine la conservazione nel lungo periodo in frigo è dispendio di altre risorse, quindi spreco. Si può ovviare a questo problema informandosi sulle filiere di agrumi 100% italiane che rimettono in circolo risorse monetarie, fanno risparmiare in termini di carburante, aiutano i piccoli produttori nazionali».

A questo punto subentra anche il discorso della stagionalità, essenziale «Lavorare con materie prime reperibili tutto l’anno non sempre è possibile e ovviamente, non è sostenibile. Per questo bisogna tornare ad ascoltare la terra e l’andamento stagionale». Il nostro eco-drink non è terminato e su questo passaggio Marco sottolinea «Occhio alla lavorazione che ci vuole per arrivare al drink. Importante è l’adeguato utilizzo delle materie prime e dei relativi scarti. Non serve solo fare meno rifiuti possibili, ma anche risparmiare energia nelle fasi di recupero è essenziale. Quindi scegliamo di ridurre al minimo l’impatto energetico lavorando i resti di una certa materia prima senza sprechi».

Anche la location è importante e ogni bartender eco-friendly deve costruire il suo locale in quest’ottica. Ben venga, allora la possibilità di creare posti in cui il recupero è la regola, partendo dai rivestimenti fino ai minimi sottobicchieri. Perché la differenza si può fare nel dettaglio. E se anche il packaging vuole la sua parte, in questo Flor de Caña non si fa trovare impreparata in fatto di bicchieri e sottobiecchieri «Flor de Caña utilizza bicchieri di bamboo e sottobicchieri in carta riciclata che generano una seconda vita. All’interno di questo dischetto ci sono dei semini che se inumiditi si possono piantare. Da qui nasce una seconda vita fatta di ortaggi o fiori». Un nuovo modo per generare bellezza, perché anche da un semplice rifiuto si arriva a qualcosa di nuovo e buono. Flor de Caña però, non firma solo un impegno circolare, crea sinergie con altre associazioni ambientaliste «Molto spesso con il brand e la collaborazione della ONG One Tree Planted organizziamo delle serate a tema in cui con il solo contributo di un euro sull’acquisto di un cocktail, questo viene destinato alla piantumazione di alberi».


Il cocktail sostenibile di Flor de Caña

Bartender e mixology sostenibile: a che punto siamo?

Essere consapevoli circa la tematica, al giorno d’oggi è un imperativo categorico e rimanere indietro non si può. Abbiamo chiesto a Marco se, secondo lui, fare sostenibilità è solo una questione generazionale e chi, per età e maturità, risponde meglio «Generalizzare è sbagliato, però io noto tra i miei coetanei una sorta di switch consapevole sulla materia – si parla della categoria dei ragazzi degli anni Novanta, di cui anche Marco è parte – noi abbiamo vissuto l’epoca di cocktail incredibili come l’Angelo Azzurro o del Quattro bianchi, l’Invisibile, oggi concepiamo la mixology in maniera diversa e cerchiamo, attraverso una presa di coscienza, di risolvere il problema perché, con molta probabilità, ci sentiamo anche un po’ più in colpa. I ragazzi più giovani invece, sono nati e cresciuti con la necessità legata all’ambiente, per loro è naturale vivere in maniera consapevole la sostenibilità».

Due facce della stessa medaglia, due modi differenti di arginare il problema, utili nella loro totalità.  E allora a che punto siamo con la sostenibilità nella mixology in Italia? «Siamo un po’ indietro, ad esempio c’è ancora tanto spreco da eliminare e tra tutti mi viene in mente il garnish che oggi piace perché è instagrammabile. Si può ridurre al minimo la guarnizione di un drink, magari trasformandola in qualcosa da mangiare, integrabile in un cocktail e riuscire nello scopo di essere d’appeal allo stesso modo. Ad esempio uno scarto di banana può diventare, se cotta e zuccherata, una semplice cialda da guarnizione pronta da mangiare. Un modo per non buttare risorse utili. Qualcosa sta cambiando, va detto, la consapevolezza è il primo passo».

Proprio sulla consapevolezza degli addetti ai lavori c’è da lavorare e l’impegno di ogni giorno su come essere eco-friendly effettivamente c’è, basta solo applicarci un po’ di costanza. Questo nuovo modo di fare mixology è divertente e ci mette alla prova un po’ tutti quanti, pronti a misurarci con le novità. Se poi a fare da spalla ci sono brand storici come Flor de Caña che aiutano nelle buone pratiche, allora tanto meglio.

Serena Leo, piacere! Pugliese Docg, giurista per caso e storyteller per vocazione. Focalizzata su dettagli e sfumature, soprattutto quando si parla di enogastronomia, inizia a raccontare il mondo del vino con grande attenzione per la sua terra, partendo proprio dalle radici grazie a Wineroots.it. Segni particolari: calice pieno tra le mani, amante di distillati insoliti e introvabili. È costantemente alla ricerca di aneddoti che arricchiscano il piacere del buon bere, e perché no, del buon mangiare. L’imperativo categorico? Il bicchiere della staffa deve essere incredibile.

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