Il Gelato Barricato di Ciacco
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Gelato & spirits, un idillio che gioca sulla tecnica

I maestri artigiani (come la tecnologia per la gelateria) sono un vanto del made in Italy. E nella Giornata Europea del Gelato Artigianale abbiamo fatto il punto sul delicato eppure stimolante rapporto tra il mondo del freddo e gli spirits

Il 24 marzo è – dal 2013 – la Giornata Europea del Gelato Artigianale. Istituita dal Parlamento Europeo dopo anni di lavoro sull’operazione di Longarone Fiere e Artglace, muove da motivazioni ineccepibili: “tra i prodotti lattiero-caseari freschi, il gelato artigianale rappresenta l’eccellenza in termini di qualità e sicurezza alimentare, che valorizza i prodotti agro-alimentari di ogni singolo stato membro”.
Quella del gelato artigianale è l’unica “giornata” che il Parlamento Europeo ha finora dedicato a un alimento e questo, nel valorizzare una filiera importante, dà lustro all’Italia che in materia di gelateria ha molto da insegnare. L’esperienza dei maestri gelatieri italiani emigrati per fare fortuna e per esportare gusto, conoscenze tecniche, consapevolezza è assodata.


Un cono gelato della Carpigiani gelato University
Un cono gelato della Carpigiani gelato University

Gelato autoctono e ricerca italiana

La sintonia tra la scuola italiana di gelateria artigianale e la grande tradizione di liquoristica e distillazione del Belpaese è inevitabile. E se da un lato il mondo dell’ingredientistica sta giocando di sponda anche con gli spirits, sono gli stessi maestri gelatieri ad appassionarsi nel trovare una gestione ottimale dell’alcol – cosa non facile per la sua natura di potente anticongelante.

Oggi però la tecnica si sta raffinando e la ricerca punta dritto sul “coinvolgimento” degli spiriti autoctoni nello sviluppo di nuovi gusti capaci di raccontare il territorio.
«La ricerca si sta spingendo sempre più a fondo per cercare di costruire ricette con più parte alcolica, nonostante il potere anticongelante e la tendenza a destabilizzare il gelato – riferisce a Spirito Autoctono Stefano Tarquinio, direttore tecnico della Carpigiani gelato UniversityDa tempo stiamo lavorando con alcuni colleghi per cercare una strada differente rispetto a quella percorsa finora e credo siamo arrivati a dei risultati molto interessanti. Finora, infatti, il metodo utilizzato da tutti i gelatieri è semplice: non si esagera con la quantità di alcol e si scelgono spirits più aromatici, come quelli a base di erbe o gli infusi. Difficile portare nei gusti aromi come quelli di una vodka, mentre un buon rum scuro o un whisky, ma anche amari o grappe per restare in Italia, riescono a garantire sentori più significativi nel gelato».

Il gruppo di lavoro della Carpigiani University ha provato a invertire il processo. «Anziché costruire la ricetta ragionando sulla poca quantità di alcol – spiega Tarquinioabbiamo provato a capire come fare per imporre il gusto primariamente, preoccupandoci solo in un secondo momento di far “stare in piedi” il gelato. Nulla vieta di spingere sulla parte alcolica, provando a costruire poi la struttura del gelato. Abbiamo lavorato sulle viscosità, utilizzando una maggiore presenza di proteine e addensanti o stabilizzanti naturali che non soffrissero un ambiente alcolico. Il risultato ci ha lasciato decisamente soddisfatti».


Stefano Tarquinio, direttore tecnico della Carpigiani gelato University
Stefano Tarquinio, direttore tecnico della Carpigiani gelato University

Il gelato oltre la gelateria

L’idea di Tarquinio e del suo team era di sfatare il mito per cui l’alcol deve essere relegato al 2/3 per cento nella ricetta, quando si può arrivare al 4 o 5 per cento. «Abbiamo fatto delle prove anche con percentuali superiori – assicura – ottenendo comunque una buona stabilità in funzione della viscosità e quindi delle proteine e fibre che utilizziamo».

Una evoluzione che, secondo il tecnico, sarà importante non solo e non tanto per le gelaterie “pure”, ma soprattutto per pasticceria e ristorazione. «Oggi molti pastry chef e chef utilizzano la componente gelato nelle loro creazioni, soprattutto per aperitivi o dessert – rimarca Tarquinio – e in questo l’integrazione degli spirits con un cioccolato o una crema all’uovo diventa intrigante. Per questo alcuni chef (anche stellati) stanno utilizzando le macchine per il gelato soft che permettono di servire il gelato espresso e fresco per un consumo immediato. Questo naturalmente schiva tutti i problemi di stabilità e conservazione che invece ha il gelato preparato e poi messo in vaschetta. Queste macchine permettono di gestire anche quantità di alcol superiori, visto che il consumo è pressoché immediato, magari sbilanciando volutamente la ricetta».


Una macchina per il gelato soft Carpigiani
Una macchina per il gelato soft Carpigiani

Ecco che la qualità degli di spiriti italiani unita alla maestria dei gelatieri italiani potrebbe generare un mix vincente. E il dialogo tra i due mondi potrebbe essere davvero fruttuoso, come dimostra la complicità nata a Senigallia tra Paolo Brunelli e Oscar Quagliarini (lo avevamo intervistato per Spirito Autoctono La Guida 2022). Per il gelatiere/pasticciere che spopola sul litorale marchigiano, infatti, il bartender e profumiere ha progettato e imbottigliato un Alchermes su misura, una “pozione” capace di andare oltre la zuppa inglese, tanto che secondo l’alchemico Quagliarini «esorcizza la paura».

Appassionati e sperimentatori

Nonostante le già esplicitate difficoltà nel gestire la “destabilizzazione” che l’alcol porta al gelato, non mancano gli appassionati artigiani del gelato made in Italy che nel tempo hanno dedicato sforzi, ricerca, lavoro all’invenzione di nuove ricette.


Stefano Guizzetti di Ciacco
Stefano Guizzetti di Ciacco

«È una sfida che mi ha sempre appassionato – ammette Stefano Guizzetti, gelatiere tra Parma e Milano con CiaccoNonostante il freddo possa penalizzare alcune note aromatiche, io credo che nel gelato alcune note degli spirits risultino più definite, più profonde e interessanti. E poi l’alcol dà pulizia e contribuisce a donare una percezione interessante dei gusti».
Nei suoi laboratori utilizza frequentemente whisky torbati e rum, «salendo con gli esteri e con gli invecchiamenti, per capire cosa succede e come si comportano nell’evoluzione», chiosa. Tra gli spiriti italiani, lavora con le grappe (spesso quelle di Poli) e pure con i vermouth del profumiere-liquorista Baldo Baldinini, «perché a mio gusto personale hanno una bellissima la nota amaricante e quindi mi muovo in quella direzione». Di recente ha utilizzato l’Imperatoria di Boroni, sfruttando i sentori delle erbe amare, ma ha anche costruito in vaschetta un cocktail iconico come il Mi-To.


Il Gelato Barricato di Ciacco, anche nella foto di copertina
Il Gelato Barricato di Ciacco, anche nella foto di copertina

Anche per Andrea Soban, dell’omonima gelateria, è stato stregato dall’idea di integrare spiriti e gelato. «Nel 2015 – racconta – ho vinto un concorso internazionale con un gelato che muoveva dalle botaniche del Gin Mare, riprendendo il rosmarino, con una componente di gin e un cappero candito all’interno. Era il momento giusto e volevo cavalcare l’onda della mixology. Fa sorridere oggi pensare che quella bottiglia di gin dovetti ordinarla online e farmela arrivare alla sede del concorso, mentre oggi si trova ovunque».
Da quel momento nelle gelaterie del suo gruppo in Piemonte (e poi a Trieste) ha presentato di tanto in tanto quel gusto, apprezzato dai clienti più giovani, ma giocando la carta di un gin italiano (il Bèrto dell’Antica Distilleria Quaglia). «Invece lavoriamo molto bene con gli spirits nelle granite preparate con il metodo tradizionale siciliano – spiega – per le quali cechiamo sempre ingredienti sfiziosi, capaci di conquistare i ragazzi. Con un amico bartender abbiamo anche lavorato sulla ricerca di alcune basi come mohito o gin lemon».


Andrea Soban
Andrea Soban

Dopo un esperimento con i gin di Mazzetti d’Altavilla (del quale già utilizzava la liquoristica come ingrediente), Soban ha iniziato a proporre i gin&tonic in gelateria. «Rigorosamente con prodotti italiani – chiarisce – tanto che il pubblico più giovane ha iniziato a frequentare la gelateria proprio incuriosito dalle etichette sempre diverse, dall’Etna Gin a Roby Marton. E se da un lato ho potuto giocare sullo storytelling, dall’altro abbiamo spinto anche sul “cocktail gelato”, utilizzando appunto il gelato in miscelazione».


Simone De Feo, della Cremeria Capolinea
Simone De Feo, della Cremeria Capolinea

Alla Cremeria Capolinea di Reggio Emilia, Simone De Feo si dichiara entusiasta rispetto al mondo spirits. «Mi piacciono da matti tutti i distillati – ammette – li utilizzo nel gelato o comunque in abbinamento, giocando sulla componente aromatica nei gelati o nei babà».
Il maestro gelatiere reggiano dichiara la sua passione per i bourbon americani e i whisky torbati scozzesi, ma anche per i rum haitiani agricoli o quelli di scuola ispanica invecchiati. Tra le referenze italiane, invece, lavora con distillati di uva come la Prime Uve di Bonaventura Maschio o le grappe di Levi. «Con le grappe ho fatto cose esoteriche – rivela – Ho utilizzato il distillato di lamponi di Capovilla in un gelato allo yogurt con scorzette di limone, apportando un profumo incredibile, mentre nel loro distillato alla pera ho fatto macerare uvetta di zibibbo che, una volta imbevuta, ho aggiunto a una crema alla cannella. Ho fatto qualcosa di simile con un bourbon americano, lasciando l’uvetta a bagno per un mese e poi utilizzandola in una crema».


Il gelato di Simone De Feo, della Cremeria Capolinea
Il gelato di Simone De Feo, della Cremeria Capolinea

Tra gli esperimenti c’è stato anche un avvicinamento al gin, ma per De Feo è un fronte delicato. «Mentre lo bevi genera emozioni legate alla componente aromatica – spiega – ma nel gelato diventa meno rilevante rispetto, ad esempio, a un distillato di frutta. Ho però lavorato con un prodotto di Mistico Speziale, che ho aggiunto come spinta perfetta per un gelato con fragola, lime e scorzette di lime».
La community dei gelato-lover che frequenta la Cremeria Capolinea apprezza tutti gli esperimenti di Simone, «soprattutto quando sono un po’ sopra le righe – scherza il maestro – Ad esempio la prima volta che ho utilizzato le uvette imbevute di whisky ho dato un nome forte al gelato: one shot one kill. Ancora oggi, a distanza di anni, c’è gente che continua a chiedermelo e infatti sono tornato a riproporlo recentemente».

Dopo qualche divagazione tra Nietzsche e Wittgenstein, è tornato a Epicuro. E così scrive di vino, sapori e spirits, di viaggi, di teatro e danza. Veneziano, fa base a Praga. Ama il whisky scozzese e le Dolomiti.

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