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Fiorentina, spirits e libertà

L’Accademia della Fiorentina lancia l’appello per il riconoscimento della mitica bistecca come “Specialità Tradizionale Garantita”. Spirito Autoctono si schiera con una serie di abbinamenti spiritosi. (intruso incluso)

«Il mio animale preferito è la bistecca». Non è sola Fran Lebowitz, la polemista newyorchese, tanto caustica quanto mai banale nel mettere alla berlina le ossessioni conformiste della società iper-corretta. Non è sola perché la bistecca, in ogni sua forma e cottura, provenienza e manifestazione, è un simbolo che unisce, un piacere atavico e autentico, una delle poche gioie della vita che si possono ottenere semplicemente ordinando al ristorante.

La bistecca è un ponte universale fra culture diverse, in nome della nostra indole (anche) carnivora: dalle steakhouse americane al Wagyu giapponese, passando ovviamente dal paradiso della carne alla brace, ovvero quella Toscana dove la bistecca alla Fiorentina non è un semplice piatto locale, ma un’istituzione a tutto tondo. Portatrice di costumi secolari, centro nevralgico di un sistema economico, attrazione turistica quanto il David di Michelangelo, la Fiorentina è così importante da queste parti che c’è persino un’Accademia dedicata. E proprio dall’Accademia è partito un appello alla Commissione Ue, affinché la Fiorentina venga riconosciuta come “Specialità Tradizionale Garantita”, come pizza napoletana, Amatriciana e vincisgrassi maceratesi.

Si tratta di un riconoscimento formale per quei piatti caratterizzati da metodi di produzione tradizionali, non legato al territorio come Dop e Igp. E la bistecca alla Fiorentina, vertice della cultura dei beccai toscani, espressione della ricchezza della razza Chianina, senz’altro ha tutte le carte in regola per ambire al titolo. Inoltre, in tempi infausti di farine di insetti, cibo sintetico e leggi oscurantiste che mettono al bando la carne rossa bollandola come inquinante, pericolosa e perfino sessista, la bistecca torna ad essere simbolo di libertà. Proprio come nel XVIII secolo, quando la Beefsteak Society londinese coniò il motto “beef and liberty”, carne e libertà.

Per sostenere l’appello dell’Accademia e schierarci contro chi vorrebbe bandire le bistecche dalle tavole per motivi ecologici o peggio ancora moralisti, Spirito Autoctono ci mette il carico. E per testimoniare l’inimitabile grandezza della Fiorentina, vi suggerisce qualche abbinamento spiritoso inusuale, diverso dal vino rosso – suo naturale compagno – e dalla birra. O Bistecca o morte, ma comunque mai col bicchiere vuoto.



1. Sabatini Martini Dry

Il Martini cocktail, specie se secco da far spavento, è la miglior alternativa al vino come accompagnamento della bistecca. Che – vale la pena ricordarlo – è già poderosa di suo, quindi necessita accanto di qualcosa di muscolare ma non invadente. Occorre però scegliere bene il gin, che con il delirio di etichette in circolazione è un attimo trovarsi a rosicchiare un osso sorseggiando drink con note agrumate o di anice… Stiamo in Toscana e puntiamo sul classicone Sabatini, che con il suo ginepro seguito da vaghezze erbacee ci sta proprio bene con la carne alla griglia. Ah, un’accortezza: che sia ghiacciato, questo Martini, perché con temperature più miti non è la stessa goduria.



2. Scotch Whisky

Abbiamo scelto questo torbato invecchiato in botti di sherry Oloroso, ma non siamo intransigenti, anche altri single malt scozzesi funzionano. Diciamo che whisky e carne è un’accoppiata che sta andando molto di moda ultimamente, anche se spesso la delusione è dietro l’angolo. La questione è che i bourbon e i rye americani, invecchiati in botti vergini che rilasciano parecchia vanillina, rischiano di essere troppo dolciastri per un pairing così impegnativo. Meglio dunque stare sul più severo Scotch, e lasciarsi guidare dal proprio gusto. Il torbato si sposa bene con la crosticina grigliata della carne, l’affinamento in sherry Oloroso con il sapore della carne stessa. Ma chi preferisse “alleggerire” la botta sensoriale potrebbe andare su un torbato invecchiamento in botti di bourbon. In tal caso, meglio un torbato “di terra” piuttosto che uno isolano, con note salmastre. Un Ardmore, per esempio, va alla grande. Altrettanto, se non vi va il torbato, scegliete un whisky invecchiato in sherry, ma occhio a evitare quelli più fruttati. Se reggete gli alti gradi, Aberlour A’bunadh è un’esperienza con la bistecca: ma occhio, fa più di 60%…



3. Vermutte del Chianti

In realtà l’idea di abbinare la carne a un vermut dolce era abbastanza aberrante. Però le vie del sapore sono infinite e dunque ci è punta vaghezza di provarne un paio locali, un po’ per ricreare il binomio di territorialità toscana, un po’ per vedere di nascosto l’effetto che fa, come Jannacci allo zoo comunale. Dunque prima abbiamo testato Tuscan Vermouth di Winestillery (base Sangiovese di Gaiole in Chianti), che nella sua morbidezza non esaltava al massimo la Chianina. Invece ha funzionato benone – sempre a nostro sindacabilissimo gusto – il Vermutte del Chianti di Distilleria Urbana, a base Chianti ovviamente, abbastanza muscolare e amaricante da reggere e spalleggiare la proteina allo stato brado. Bell’esperimento, anche se sul lungo può stancare.



4. Armagnac Domaine de Charron

Molto ardito, forse il più ardito, perché i distillati di vino sono di solito un po’ troppo eterei ed eleganti, con quel nonsoché di floreale e fru-fru che una dieta primitiva a base di animali cotti sulla brace non prevede. Per questo nella nostra ricerca di pairing originali abbiamo eliminato i Cognac e scelto i Bas Armagnac, con quel suo retroterra produttivo così rurale e spesso e con quel suo carattere adorabilmente scorbutico. Dei tre che abbiamo provato, l’unico che abbia retto e restituito – grazie al distillato ottenuto da alambicchi a fuoco diretto alimentati a legna che donano struttura ed echi di grassezza – è il Domaine de Charron 2003, uno dei vintages dal finale più lungo e intrigante, con sfumature di rancio che ben si sposano con la carne. Ecco, attenzione che comunque non è un abbinamento da principianti…



5. Oloroso ‘Pata de galina’ Almacenista Lustau

Chiudiamo con un mezzo imbroglio, nel senso che tecnicamente lo sherry è un vino, seppur ossidato, e noi ci eravamo detti che di vino non volevamo sentir parlare. Pazienza, le regole sono fatte per avere delle eccezioni, e questo impressionante Oloroso di Lustau, che fa la bellezza di 21% vol, meritava di essere fra i consigli. I “pata de galina” sono sherry in cui l’uva Palomino raggiungono alte concentrazioni zuccherine e in cui avviene una fortificazione con distillato di vino. Il risultato è uno sherry quasi liquoroso, che alle note dolci unisce una severità profonda che tiene saldamente il timone del palato. Con la bistecca condivide l’altissimo peso specifico aromatico, il che significa che nell’abbinamento è un bell’incontro fra super-massimi che rende felici tutti gli spettatori.



 

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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