Casoni, la presentazione “savory” di The Gibson Edition

A quasi 4 anni dal lancio – pre-pandemia – il liquorificio presenta la linea realizzata in collaborazione con il bartender Marian Beke. Tre liquori dall’anima umami che strizzano l’occhio alla mixology

Di fronte a un Amarotto alle mandorle miscelato con marmellata di yuzu, pepe sancho e crema d’uova di Hanoi, il concetto di “autoctono” vacilla come un quindicenne dopo sette vodka & RedBull. Partire dal particolare per arrivare all’universale, valorizzare il locale per diventare globali, unire artigianalità e marketing, ieri e domani, il paese e la metropoli. Non è facile, ma è naturale. D’altronde è sempre stato così, tutto viene preso in prestito, digerito e reinterpretato, le avanguardie diventano classici e i gusti si fanno sincretici. Un discreto, iridescente clash culturale perenne.

Da questo punto di vista, siamo nel posto giusto: al Moebius di Milano, zona Porta Venezia, tapas e cocktail bar sperimentale gestito da Enrico Croatti. August Ferdinand Moebius era un astronomo e matematico tedesco, passato alla storia per aver teorizzato una figura impossibile, il nastro di Moebius, un’illusione ottica semplice e complessa nello stesso tempo. Un paradosso. Un po’ come la partnership fra un liquorificio di Finale Emilia e uno dei padri della mixology contemporanea.



Ma andiamo con ordine. Al Moebius – vetrate post-industriali e musica jazz dal vivo, pienissimo nonostante sia uno di quei lunedì che Vasco odia tanto – va in scena il lancio ufficiale di tre prodotti che sono in commercio dal 2019. Continuiamo con l’assurdo, ma come in ogni assurdo c’è nascosta una spiegazione. La cosiddetta “The Gibson Edition – Savory range” è una serie di tre liquori realizzati da Casoni in collaborazione con Marian Beke, proprietario del The Gibson di Londra, tra i 50 World Best Bars. La collezione risale al 2019, ma la pandemia aveva finora congelato il debutto in società.

Casoni è un nome storico della liquoristica italiana fin dal 1814, quando il capostipite Giuseppe aprì un laboratorio per produrre l’Anicione e vari rosoli partendo da botaniche locali, come il mallo di noce. I due secoli successivi hanno visto gli eredi succedersi alla guida di una realtà diventata sempre meno laboratorio e sempre più grande azienda, tanto da arrivare a produrre 450 tipi di liquori (anche conto terzi) e ad aprire uno stabilimento in Slovacchia. Che, curiosamente, è anche la patria di Marian Beke. Il quale dopo una lunga gavetta è approdato a Londra, aprendo un suo bar e una nuova via alla miscelazione, vista come una cucina liquida che dà vita a drink gastronomici, elaborati, sardanapaleschi, in cui la componente sapida la fa da padrona.



Ed è proprio questo tocco “savory” a caratterizzare i tre liquori della collezione. I primi due sono realizzati con un ingrediente che è la più alta espressione del territorio Modenese, ovvero l’aceto balsamico tradizionale che già rende speciale il Vermouth Tomaso Agnini di Casoni: il Wild Berries utilizza fragole, more e lamponi, il Figs & Cherries parte da fichi e ciliegie. Il terzo, invece, si chiama Amarotto, ha una gradazione più sostenuta (29% contro i 17% e 21% dei primi due) ed è a base di mandorle, erbe e liquirizia. All’assaggio balza all’occhio – o al palato – che solo quest’ultimo si può godere anche liscio e on the rocks, e in effetti anche la parte amaricante è spiccata. I primi due, come esplicitamente spiegato dai creatori, svolgono invece un’altra funzione: creano nuovi gusti, aggiungono colori mai visti alla palette di suggestioni a disposizione dei bartender per ideare drink in pieno “Beke style”, ovvero saporiti e umami.

Saporiti come i tre cocktail proposti in abbinamento durante la cena. Senza scendere troppo nei dettagli – le ricette erano talmente laocoontiche e complicate che serviva un bugiardino di spiegazioni anche solo per capire come berli – i tre drink più che un accompagnamento sembravano dei veri e propri piatti in bicchiere. Acido di tamarindo, olio di cocco, garnish di cioccolato bianco tartufato; e ancora birra IPA, soluzione di sale, granatina di vino dolce, bitter affumicato, gelatine a guisa di tappo del bicchiere, briciole di bacon caramellato… Tanta (troppa?) roba. Che se da un lato ha reso perfettamente l’idea di quanto in là ci si possa spingere con questo genere di miscelazione barocca e opposta al minimalismo di moda oggi, dall’altro non ha esaltato davvero i sapori originali dei liquori, finiti loro malgrado sepolti da stratificazioni di note così potenti e varie. Il che non toglie nulla alle grandi potenzialità (dietro il bancone) di questi esperimenti slovacco-emiliani.

 

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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