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Spirits trends 2023 #2 – Mixology protagonista e consumi “imprigionati” dai brand?

Dal confronto con alcuni osservatori italiani – professionisti della filiera, produttori, distributori, comunicatori e bartender – emerge un segmento in pieno slancio. La mixology è in evoluzione e i bar puntano su esperienze di eccellenza, ma comunicazione e adv spingono il consumatore a cercare i grandi marchi

Mixology in primo piano, con una funzione di traino per un consumo consapevole, a fronte di un universo bar che dovrà sempre più puntare ad un lusso “abbordabile”, confortevole eppure sofisticato nella apparente semplicità.
Guardando ai trend 2023 per il mondo spirits, i professionisti del settore indicano una tendenza che richiama il “less is more” e l’eccellenza craft. Eppure non tutti sono convinti di poter contare su un consumatore consapevole e competente, perché la spinta pubblicitaria e d’immagine dei grandi brand sembra avere la meglio sulla qualità vera. Ecco che la comunicazione deve esser autentica, pop, ma non superficiale.



Mixology up o mixology down?

La risposta è sostanzialmente unanime: up, senza ‘se’ e senza ‘ma’.
«Mixology super up – rimarca Claudio Riva di Whisky Club Italia e patron della fiera DistilloSi berrà sempre meglio e sempre più craft. Il mercato italiano vede solo negli ultimi anni un proliferare di vere micro-distillerie, realtà che potranno crescere non creando associazioni categoria, ma convincendo il consumatore prima e il professionista poi della qualità percepita nei cocktail».
«La mixology – gli fa eco Giacomo Bombana di Velier SpAvive da anni un grande Rinascimento, soprattutto quella di qualità, che sia semplice con il recupero dei grandi classici o con signature estrosi».
Se da un lato Alessandro Marzadro (da vicepresidente dell’Istituto Tutela Grappa del Trentino) auspica una maggiore attenzione al settore da parte dei grappaioli, Roberto Marton (alias mister RobyMarton gin) sottolinea il fermento vivace e la tendenza a sperimentare senza limiti. «I bartender stanno crescendo per competenza e per voglia di mettersi in gioco», sentenzia il produttore e distributore veneto.
Proprio uno dei protagonisti – il bartender Oscar Quagliarini – evidenzia però come la costante spinta all’estremo rischi di diventare “troppo”. «Credo siamo arrivati a un punto in cui ci si ferma a riflettere – spiega – e si vira verso i classici, verso una cocktaileria più semplice. Non scontata, assolutamente, ma più immediata». Anche per Alex Frezza dell’Antiquario a Napoli «la mixology è sempre up, perché c’è sempre da migliorare e sperimentare nuove cose. E quando non si hanno idee innovative fa sempre bene rispolverare i classici».
In quest’ottica Marco Bertoncini di Mosaico Spirits (Il Tuo Gin) prevede un aumento dei consumi con una concentrazione del mercato su meno prodotti, ma di maggiore qualità. «È evidentemente un ruolo proprio della grande mixology quello di combinare e reinventare, trovando nuove ricette e nuove forme di consumo, per offrire esperienze esclusive». Che Francesco Pirineo di Compagnia dei Caraibi declina così: «la mixology continuerà ad affascinare con le sue storie, i suoi drink, i baristi e le luci soffuse. Il bar è un porto franco dove confidarsi e lasciarsi andare».



Mondo bar e lusso sostenibile

Qual è dunque la tendenza nell’universo dei bar? Patria d’elezione per il consumo e l’uso in miscelazione degli spiriti (autoctoni e non), i locali stanno vivendo una evoluzione che si trova a bilanciare lusso e sostenibilità economica, stile e semplicità. Sembra dunque che la tendenza veda emergere un bar dall’atmosfera sofisticata, eppure accogliente e “affordable”.
Oscar Quagliarini vede un bar «più sofisticato, ma nella sua semplicità», mentre Marzadro e Pirineo lo osservano sofisticato nello storytelling e nello stile, ma accessibile nella proposta di bevande.
«Gli estremi hanno sempre spazio per essere spinti oltre – osserva FrezzaBar extra lusso e cose super pop… non vedo limiti. In Italia abbiamo frontiere ancora inesplorate».
«Il bar è sempre più sofisticato negli ingredienti, con ricette progressivamente semplificate – afferma Claudio RivaAnziché costruire il gusto con decine di ingredienti, si metterà un bel vestito attorno a distillati riconoscibili e di qualità».
Bertoncini torna sul nodo della consapevolezza del cliente, «che tende a scegliere sempre più anziché affidarsi a occhi chiusi al bartender – spiega – per questo serve un’offerta comprensibile e forse semplice, ma pure accessibile… altrimenti è difficile far girare i prodotti in bottigliera».
Se per Marton è entusiasmante vedere il volto sofisticato della miscelazione, che si concretizza in una continua sperimentazione anche giocosa, c’è da dire che il mondo bar non è monocorde. «Ha cambiato pelle negli ultimi anni – osserva Bombanabasti pensare al boom dei sodati di qualità. Mentre dieci anni fa pagare per una tonica di qualità era semplicemente impensabile, oggi è un trend in crescita costante. Tuttavia l’Italia è un Paese molto variegato. Milano ha gli occhi rivolti verso la mixology internazionale, per altre zone d’Italia invece la ricetta vincente resta quella di valorizzare gli aspetti locali della miscelazione, con l’uso di materie prime e anche di prodotti alcolici radicati nel territorio».



Consumatore consapevole o follower dei brand?

Dal confronto con i professionisti del mondo spirits, emerge una divaricazione di visioni sulla consapevolezza del consumatore.
Da un lato Claudio Riva afferma che «la vera novità del 2023 sarà nel consumatore». Dal suo osservatorio, infatti, «l’ondata di giovani appassionati che è “nata” durante la pandemia ha una visione vergine del mercato e vuole assaggiare ciò che piace, indipendentemente da brand, territori o dichiarazioni di età». E aggiunge: «il consumatore cerca prodotti sempre più autentici, poco conta quanto storytelling viene montato sui distillati. Il whisky ha già detto tutto, il rum è inciampato nei suoi passi volendo emulare il successo del whisky quando avrebbe dovuto comunicare quello che al whisky manca: materia prima e complessità dei bianchi. Il mezcal ha la giusta ricetta di territorio, tradizione e qualità, dunque proseguirà nella sua inarrestabile crescita».
D’altro canto tra i produttori e bartender emergono voci più disilluse. Se Marton nota una forza crescente dei brand, con un’attenzione spasmodica sulle etichette più spinte dal marketing, Alessandro Zampieri de Il Mercante a Venezia ne evidenzia il peso preponderante. «La comunicazione ormai fa tutto – chiosa – e quando un brand inizia a spingere sulla pubblicità, ecco tutti a chiedere quella specifica referenza. Quindi la comunicazione per i brand è davvero tutto… e oggi anche per i locali. Ormai conta più quante ospitate fai in giro piuttosto che la qualità della miscelazione. E i cocktail bar di livello si dividono tra quelli che sono solo immagine e poca sostanza, e quelli invece che investono tanto nella ricerca e ancora riescono ad innovare. Sono pochissimi quelli che riescono a bilanciare entrambe le componenti».
Eppure, come segnala Frezza, le evoluzioni non mancano. «Ad esempio, stanno nascendo tanti liquori con gusti e aromi innovativi. Di sicuro uno stimolo nuovo per i bartender», dice.



Comunicazione, storytelling e territorio

Qual è allora il ruolo e il peso della comunicazione?
«È fondamentale, soprattutto per i nuovi brand – assicura QuagliariniSi deve fare un lavoro accurato su bottiglia, grafiche e media». Uno strumento essenziale «per valorizzare i prodotti e creare una maggiore consapevolezza nel consumatore», gli fanno eco Bertoncini, Marton e Marzadro. L’importante, secondo Riva, è giocarla «su storie vere, adattate alle esigenze di un mercato più giovane e più veloce».
Senza la comunicazione «nessuno nella bar industry mondiale avrebbe raggiunto obiettivi e riconoscimenti importanti – rilancia PirineoI social sono il nuovo modo di comunicare al di fuori del professionale. Hanno un punto di incontro ma sono due modalità differenti. È solo grazie alla comunicazione che si esce dai propri confini, anche se forse si perde quel tocco di romanticismo che solo l’esperienza del bar vissuta in prima persona può dare».
Giacomo Bomaba si spinge oltre. «Negli anni – dice – la comunicazione sui distillati ci ha abituato a tutto, con scarsa attenzione alle realtà effettive di chi produce e con informazioni al limite del fraudolento (se pensiamo ad esempio alle indicazioni sulle età di invecchiamento su alcuni distillati). Oggi però c’è molta voglia da parte del consumatore di andare in profondità sui processi di lavorazione e sulle storie dei produttori. Inoltre la tracciabilità e il local, concetti fondamentali da qualche anno per l’enogastronomia, si sono fatti largo anche tra spirits e liquori. Di qui il boom di distillerie artigianali e a conduzione familiare. Ecco la comunicazione a mio parere sarà vincente se sarà “nerd”, fresca e pop, ma comunque tecnica e non superficiale».
Attenzione però all’omologazione. «Oggi la comunicazione si è appiattita – obietta Frezza da Napoli – tutte le immagini di cocktail sono uguali, le agenzie si copiano a vicenda e nessuna fa un buon lavoro per emergere nel beverage. Comunicare con l’immagine di un cocktail ormai credo sia obsoleto. Vanno condivise le emozioni e le esperienze che un bar può offrire. Questo è molto più difficile. Chi ci riuscirà avrà sicuramente una marcia in più».



 

Dopo qualche divagazione tra Nietzsche e Wittgenstein, è tornato a Epicuro. E così scrive di vino, sapori e spirits, di viaggi, di teatro e danza. Veneziano, fa base a Praga. Ama il whisky scozzese e le Dolomiti.

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