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St. Regis Venice, la mixology in due anime

Intervista a Facundo Gallegos, direttore bar dell’hotel veneziano, che dietro al bancone porta Londra e gli insegnamenti dei grandi barman

Due banconi e due anime diverse, per una proposta che non vuole adagiarsi sulle scorciatoie da turismo di massa, ma raccontare attraverso i cocktail, innovando il linguaggio della mixology lagunare. Al St. Regis di Venezia – hotel del gruppo Marriott – questo non è soltanto un risultato, ma una vera e propria missione, pensata fin dall’apertura della struttura nel 2019. Ad orchestrarla, Facundo Gallegos, barman di origini argentine, cresciuto in Italia e rientrato dopo anni di esperienza londinese, proprio per abbracciare questo progetto in qualità di direttore dei bar.

Da una parte, il St. Regis Bar, il bancone principale, con la sua anima ‘all-day-time‘ e lo splendido dehors affacciato direttamente sul Canal Grande, dove il focus è sui drink più beverini. Qui Spritz e Negroni si trasformano in un’esperienza cromatica ispirata dai momenti del giorno e dai palazzi veneziani. Dall’altro lato invece, l’esclusivo Arts Bar, dove la miscelazione si fa esperienza artistica. In una sala che, dal bancone ai dettagli d’arredo, omaggia l’architettura di Carlo Scarpa, si serve una serie di signature studiati per riprodurre una selezione di dieci opere d’arte.

Nell’intervista, Facundo Gallegos racconta a Spirito Autoctono la filosofia dietro all’impostazione dei bar e alla scelta degli ingredienti spiritosi.



Gallegos, come si è formato come barman?
«Ho iniziato a lavorare nell’hospitality vent’anni fa tra pizzerie e ristoranti sulla costa veneta. Sono sempre stato affascinato dall’ambiente del bar, anche se all’inizio facevo più sala. Ho iniziato a muovere i primi passi in hotel a Bibione, poi sulle navi da crociera, finché ho avuto la fortuna di entrare a lavorare al Cipriani di Venezia. È qui che ho conosciuto la figura del barman di hotel di alto livello. Ci ho trascorso tre anni, poi volevo crescere e mi sono spostato a Londra. Qui ho lavorato al Dorchester Hotel, dove ho speso sei anni della mia vita, formandomi come barman di hotel di lusso. Ho anche iniziato a partecipare a competition e ho vinto il titolo di UK Champion Bartender, che poi mi ha portato a rappresentare la nazione a Pechino, alle finali del Bartenders Guild Global Cocktail 2012. Al Dorchester ho finito come head bartender, poi ho lavorato al The Connaught Hotel, dove ho trascorso gli ultimi anni prima di rientrare in italia. Londra ha segnato la mia vita».

Quando ha iniziato come bar manager al St Regis, come ha impostato il lavoro?
«Sono arrivato qui in fase di pre-opening e avevo delle linee guida da rispettare. I bar sono due, quindi dovevo impostare una proposta differenziata. Allora non avrei pensato di rientrare in Italia, ma mi è stato proposto un progetto innovativo, in cui poter davvero creare qualcosa di nuovo in una città “classica” come Venezia. Questo mi è piaciuto molto e ancora oggi mi stimola nel mio lavoro».



Due bar differenti, il St Regis Bar e l’Arts Bar, come si compone l’offerta di questi due banconi?
«Arts bar è il nostro cocktail bar serale, più incentrato sulla mixology e sulla sperimentazione. Per il St. Regis Bar invece ho scelto un menù più semplice, dando valore al Bloody Mary, che è nostro cocktail della casa, assieme a una serie di signature e qualche classico contemporaneo. Una selezione di cocktail pensata in base ai distillati. Un esempio è il Paloma, a base di tequila, uno dei cocktail che vendiamo di più, poi il Penicillin, un Whisky Sour rivisitato con miele, zenzero e un tocco affumicato. Il Clover Club, un classico che funziona molto bene, come anche il Naked & Famous, a base di mezcal, e ancora il Doge’s Tipple, a base di vermouth infuso con carciofo di Sant’Erasmo, Select e un amaro fatto con le erbe di Venezia, che si chiama Amaro Venesian. Abbiamo giocato anche con un cocktail a base di grappa. Non è stato facile, ma siamo riusciti a crearne uno molto beverino».



Il Negroni, come lo spritz, variano invece in base al colore…
«Per noi quello di giocare con colori diversi è un concetto molto importante. Quando abbiamo aperto era il centenario del Negroni e lo Spritz è fondamentale per Venezia, quindi abbiamo dedicato una pagina a parte a questi due drink, utilizzando ingredienti diversi per variarne i colori. Abbiamo un trolley per servire gli Spritz direttamente al tavolo. Lo prepariamo di fronte al cliente, raccontandone la storia. Abbiamo pensato a una vera e propria esperienza, per dare importanza a questo drink, che qui è molto popolare e che viene dato quasi per scontato. Giochiamo con colori e bitter differenti per coinvolgere gli ospiti, è un modo per richiamare le varie fasi della giornata, ma anche i colori dei palazzi veneziani».



E l’Arts Bar, invece?
«Si tratta di un luogo legato all’arte, a partire dalla struttura del bar, ispirata a Carlo Scarpa. Dal soffitto alle linee del bancone, fino al design del logo e del menu, che richiamano la sua architettura. Per quanto riguarda i cocktail, abbiamo una selezione di dieci signature, ognuno dedicato a un’opera, che è stata studiata e tradotta in miscelato. Si tratta per la maggior parte sono di quadri, molti dei quali con un collegamento Venezia e ogni cocktail ha il proprio bicchiere in vetro di Murano appositamente disegnato da noi e realizzato assieme alla vetreria Berengo».



Qualche esempio di cocktail?
«Partiamo con il Venetian Cobbler, ispirato al Miracolo dello Schiavo di Tintoretto. Abbiamo giocato con i colori dell’opera e creato un cocktail con una cupola che, una volta alzata, lascia svanire il fumo un po’ come la folla allontanata da San Marco al momento del miracolo. Uno dei cocktail più richiesti è il Canal-Art, ispirato al graffito di Banksy. In questo caso abbiamo creato un long drink a base di mezcal, che secondo me rappresenta un po’ l’artista. Un distillato con una forte personalità, ma ancora non così conosciuto, esattamente come Banksy, di cui nessuno conosce la vera identità. Qui ci sono Sherry, Curaçao e un cordiale al carciofo che preparo appositamente, assieme a bitter al pompelmo e succo di lime che racchiude il tutto. Con la texture del bicchiere abbiamo voluto riprodurre il muro su cui si trova il graffito e il fumo rosa nella mano del personaggio è ricreato con un’aria rosa a base di mezcal. Tra i cocktail ci sono anche degli analcolici e per ciascuno abbiamo ideato una cartolina con l’opera che l’ospite può conservare».



Da sx, i cocktail Venetian Cobbler e il Canal-Art

Che differenze ci sono in termini di clientela tra i due bar?
«Il St. Regis Bar apre a mezzogiorno e chiude a mezzanotte, è un bar da tutto giorno, in cui serviamo anche food, con un all-day-time menu sempre disponibile. La clientela americana è quella che va per la maggior in hotel ed è molto propensa a bere cocktail mentre mangia. Non con specifiche richieste di abbinamento, ma semplicemente selezionando ciò di cui ha più voglia. Qui la clientela va dalle famiglie a ogni altro tipo di cliente, durante pomeriggio e giorno fino alla sera. L’Arts Bar invece è un cocktail bar serale che apre alle 6 di pomeriggio e chiude più tardi intorno all’una di notte. È un luogo più adatto a chi vuole fare un’esperienza di mixology esclusiva e immersiva. Un’occasione che, in una città più classica dal punto di vista beverage, rompe un po’ la normalità. Anche se credo che Venezia stia cambiando da questo punto di vista, anche grazie a iniziative come la nostra».

Sono esperienze per tutti o riservate ai clienti dell’hotel?
«I bar sono aperti per tutti, non solo ai clienti che soggiornano da noi. Chiunque deve poter provare un’esperienza come quella dell’Arts Bar. Vogliamo che il St. Regis Bar diventi un punto di riferimento per l’aperitivo, a cui si presta molto bene, grazie anche al meraviglioso giardino affacciato sul Canal Grande, che stimola anche la nostra creatività nel pensare esperienze sempre nuove».



I clienti assaggiano di più quello che già conoscono o si lasciano guidare dalle proposte del barman?
«All’Arts Bar si lasciano guidare, perché è un cocktail bar più improntato sulla mixology e su una lista cocktail speciale. Al St. Regis Bar invece sono tendenzialmente più propensi a ordinare ciò di cui hanno voglia. A me piace lasciare libertà di scelta all’ospite poi si sa, caso per caso, si valuta in base all’approccio di chi ci si trova di fronte».

Quale è, in questo contesto, l’approccio ai prodotti italiani?
«Credo sia importante dare valore al luogo in cui ci si trova. Lo faccio ad esempio con l’Amaro Venesian, con il Select, che è un simbolo di Venezia o anche con ingredienti come il carciofo di Sant’Erasmo. A livello di prodotti, mi piace dare valore alle etichette di qualità in generale, italiane o straniere che siano. Alcuni prodotti bisogna semplicemente prenderli da dove vengono fatti meglio. A livello di vermouth ad esempio, in Italia siamo assolutamente avanti».



Dai bozzetti al bicchiere, il cocktail Liquid Desire, ispirato a La Nascita dei Desideri Liquidi di Salvador Dalì

Che consiglio darebbe a un piccolo produttore di spirits che vuole entrare nella bottigliera di un grande hotel veneziano?
«Quello che posso dire è che quando un prodotto è fatto bene non ha bisogno di tante presentazioni, sulla qualità non si accettano compromessi. Poi al giorno d’oggi lo story telling è necessario, quando c’è un racconto sicuramente anche il prodotto acquista più valore, ma ci dev’essere davvero un’anima, non si può legare un’etichetta al solo marketing».

C’è un personaggio storico del mondo mixology al quale si ispira?
«I miei mentori li ho trovati nei posti in cui ho lavorato. Al Cipriani, Walter Bolzonella e al Dorchester di Londra lo storico bar manager Giuliano Morandin. Credo che non si vedranno più figure del genere e mi sento molto fortunato ad averli incontrati, assieme alle loro grandi storie di vita vissuta. E sicuramente ho vissuto un sogno lavorando al Connaught al fianco di Agostino Perrone, da cui ho imparato tantissimo. Credo di aver preso un po’ da ognuno di loro, per diventare quello che sono oggi».



Il Bloody Mary Santa Maria

Quale è il signature a cui è più legato?
«Sicuramente il nostro Bloody Mary Santa Maria. È il primo che ho creato qui al St. Regis ed e quello che rappresenta l’hotel. A tre anni e mezzo dall’apertura e nonostante il periodo del covid, mi sta dando ancora soddisfazione ed è quello a cui più legato».

Il Bloody Mary Santa Maria si ispira alla chiesa di Santa Maria della Salute, situata di fronte all’hotel, dall’altro lato del Canal Grande. Tra gli ingredienti, succo di pomodoro chiarificato, vodka all’infuso di rafano, verjus, Grappa Poli, soluzione salina e tintura piccante create direttamente dal bar.

 

Radici toscane tra Mugello e Chianti, adottata in Veneto tra ombre e bacari. Ha il naso sul vino da quando lo ha tolto dai libri (forse le cose si sono anche un po’ intrecciate…) e un passato tra voli intercontinentali, valigiate di bottiglie, Paesi asiatici e degustazioni. Diplomata Ais, approda alla comunicazione come ufficio stampa e poi nella redazione di VinoNews24.it. Viaggia, assaggia, scrive, ascolta molto e parla quando serve (svariate lingue).

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