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Il bar? Al Regency di Firenze è senza bancone

Massimo Perini racconta dell’evoluzione dell’offerta hospitality, sull’onda di una domanda in crescita tra spirits e mixology

Un bar che ancora non è un luogo fisico, ma che si evolve come proposta ai clienti dell’hotel e del ristorante, cercandone – e anche orientandone – le preferenze, in attesa del bancone che verrà. L’Hotel Regency, affacciato su Piazza d’Azelio a Firenze, è una tappa storica che racconta l’evoluzione della città.



L’edificio, in stile neoquattrocentesco, nasce dall’accorpamento di due villini realizzati nella seconda metà del XIX secolo su progetto dell’architetto Henry Kleffler. Le due residenze erano destinate agli alti funzionari dello Stato nel periodo in cui Firenze era capitale del Regno d’Italia – tra il 1865 e il 1871. Alcuni nuovi interventi in stile liberty vengono effettuati nel 1932 e, nel 1960, gli attuali proprietari – la famiglia Ottaviani – convertono la residenza in albergo di lusso. Oggi, dopo la recente ristrutturazione, l’hotel accoglie gli ospiti in uno spazio raffinato, arredato in uno stile fiorentino che omaggia proprio gli anni in cui è sorto l’edificio, tra elementi in marmo di Carrara e pregiate tappezzerie.



In quest’atmosfera d’antan, il ristorante Relais Le Jardin sfrutta la sala interna e il giardino privato, angolo raccolto e verde tra i palazzi storici, che offre un momento di quiete e stacco dal via vai cittadino. Lo chef Claudio Lopopolo propone agli ospiti dell’hotel come ai clienti esterni una cucina ricercata, che incrocia con classe la tradizione toscana, affiancato dalle proposte ‘al calice’ del barman e sommelier Massimo Perini. In un contesto come questo, in cui un bancone non è mai stato storicamente presente, il bar invece è una presenza virtuale, configurandosi in una proposta che fa fronte a una domanda di spirits e cocktail in rapida evoluzione.

Mentre si studia come rendere il bar un luogo fisico, il giardino e l’elegante zona living dell’hotel sono il teatro dei drink, in cui proporre – tra una richiesta e l’altra – anche prodotti del territorio, sperimentando sulla curiosità della clientela. Il racconto nell’intervista al barman Perini per Spirito Autoctono.



Massimo, come hai iniziato la carriera da barman?
«Ho fatto la scuola alberghiera e ho iniziato con la mia prima esperienza all’Hotel Baglioni, in piazza dell’Unità. Successivamente come barman in piazza Repubblica per vari anni, un ambiente molto più turistico, spostandomi tra il bar e la sala. Più avanti ho aperto un cosmopolitan bar in via Ghibellina, che ho tenuto per quattro anni, in seguito ho lavorato in sala nei ristoranti e ora sono qui dal 2012».

Come è composta l’offerta del Regency in tema spirits?
«La nostra proposta drink parte dai cocktail ed è composta da aperitivi, poi long drink a tutto pasto e a ‘tutto giorno’, un menù classico, molto semplice ma che offre già una varietà al cliente. A questi abbiamo aggiunto una scelta di gin, vodka, whisky, grappe e altri distillati per il dopo cena. Lavoriamo soprattutto in orario aperitivo e alla sera».



Come ti orienti nella scelta dei prodotti autoctoni?
«Vado in base alle conoscenze e ai consigli di altri amici barman. Capita che mi segnalino un prodotto, allora vado a provarlo, lo assaggio anch’io, poi se possibile lo inseriamo. Anche i nostri fornitori tendono a proporci più prodotti toscani, come gin e vermouth. Al momento ci resta difficile inserirne molti per il poco spazio, ma pian piano li proviamo».

Che tipo di richiesta c’è da parte dei clienti?
«I nostri clienti seguono le mode, tra i nostri ospiti ci sono molti americani e quello che chiedono più spesso è lo spritz, anche per pasteggiare. Poi ci sono quelli che invece vanno a cercare una bottiglia più particolare e noi stiamo cercando di assecondare questa richiesta, ad esempio con i gin, di cui abbiamo 7-8 etichette differenti, sui whisky o sui rum, di cui cerchiamo di tenere sempre qualche etichetta un po’ speciale. Chi fa una richiesta di questo tipo vuole spendere per bere bene e ricevere una proposta esclusiva, soprattutto per quanto riguarda i prodotti internazionali».

Brand conosciuto, ma in edizione speciale?
«Lavorando prettamente con gli stranieri è difficile che i clienti conoscano già il prodotto italiano, gli esterni sono tutti italiani, ma al 95% lavoriamo con clienti interni. Puntiamo quindi molto sul brand, ma ho notato che inserendo qualche gin meno commerciale, se proposto nel modo giusto, viene ben accolto dai clienti».



Quali sono le nazionalità più curiose tra i tuoi clienti?
«Gli americani sono quelli che fanno le richieste più particolari e che conoscono anche di più i prodotti, ovviamente i whisky, soprattutto il bourbon. In generale sono quelli più curiosi, anche quando offriamo loro un gin italiano. In questo momento abbiamo Gil, Ginepraio e Villa Ascenti».

Che evoluzione ci sono state negli ultimi anni a livello di richieste dei clienti?
«In questi ultimi anni, covid a parte, c’è stata un’evoluzione in crescita per quanto riguarda le richieste dei clienti sul lato drink. Quindi con la direzione abbiamo iniziato a ragionare di un angolo bar. Lo spazio ci sarebbe, si tratta di fare alcune modifiche nella disposizione dei locali, quindi per il momento dobbiamo solo attendere. La richiesta è aumentata soprattutto quest’anno, per aperitivo o anche dopo cena e anche sul fatturato del ristorante sta iniziando a incidere e la nostra offerta in termini di esperienza ne gioverebbe».

C’è domanda anche di cocktail analcolici?
«Sì, sono in crescita. Un esempio classico è quando ci sono ragazzini di 15-16 insieme alla famiglia e per loro abbiamo sempre un’alternativa analcolica. Facciamo mojito analcolico e molto altro».



Secondo te, in generale, cosa sta cambiando a livello di preferenze nel mondo spirits?
«La gente sta cercando sempre più etichette particolari, come quelle dei piccoli produttori, un esempio sono i nuovi vermouth. Ma per capire la tendenza secondo me bisogna aspettare. Per adesso la richiesta parte da una moda, ma noto che anche la richiesta del gin da parte dei giovani sta rimanendo, quindi può darsi che nei prossimi anni la clientela inizi a chiedere prodotti più ricercati in maniera strutturale. Il mercato oggi è più vario e non è raro trovare persone che ne capiscono, mentre prima capitava più spesso che ci si affidasse al cameriere o al barman. La gente è più attenta e sa cosa beve, anche i ragazzi più giovani, che ti chiedono che gin o che toniche usi. Questo quando ho iniziato come barman non succedeva».

Radici toscane tra Mugello e Chianti, adottata in Veneto tra ombre e bacari. Ha il naso sul vino da quando lo ha tolto dai libri (forse le cose si sono anche un po’ intrecciate…) e un passato tra voli intercontinentali, valigiate di bottiglie, Paesi asiatici e degustazioni. Diplomata Ais, approda alla comunicazione come ufficio stampa e poi nella redazione di VinoNews24.it. Viaggia, assaggia, scrive, ascolta molto e parla quando serve (svariate lingue).

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