Filippo Sisti: “in miscelazione meno fuffa e più sostanza”

Intervista – tra un cocktail e l’altro – al bartender Filippo Sisti, che non le manda a dire sulla mixology. Il futuro si gioca su identità e materie prime, il prossimo trend sarà l’ossidato

 

Devi sapere cosa vuoi. Miri a fare diecimila euro a serata con gli spritz? Va benissimo. Ma la miscelazione non è lo spritz. E a dire la verità non è neanche Martini e Old Fashioned: quelli mica sono cocktail, dai”. Sotto il berretto da baseball – che ormai fa parte del personaggio come la camicia rossa di Dylan Dog – Filippo Sisti coltiva una tempesta magnetica di pensieri. Così, anche nella più inoffensiva ed innocua delle situazioni, da lui balena sempre qualche fuga di genialità, qualche lampo di provocazione, qualche idea destinata a lasciare il campo della mixology diverso da com’era prima.

Siamo a Milano, zona Lambrate, al Norah was drunk, un localino niente male nascosto fra kebabbari e fast-food internazionali. Aperto da Niccolò Caramiello e Stefano Rollo, punta su assenzio e pesce in scatola, sullo stile delle conserveiras portoghesi. Insomma, quanto è più distante idealmente dallo spritz sui Navigli. Qui, in un tranquillo pomeriggio di fine ottobre, Compagnia dei Caraibi ha organizzato la presentazione del gin e del mezcal del brand Le Tribute, prodotti nelle distillerie spagnole MG già culla di Gin Mare e ora importati in Italia. Ed è proprio mentre serve i 4 drink ideati per esaltare i due prodotti, che Filippo lascia partire considerazioni come frecce, mirando al centro del bersaglio: il futuro di quell’arte socio-gastronomica che è il bartending.

La prima freccia sibila intorno al gin, che ormai da anni è sulla cresta dell’onda e non accenna a scendere. «Ormai sono tantissimi – inizia Sistie mediamente non sono per nulla fatti male. Ma oltre alla qualità, per differenziarsi serve una drink strategy». E mentre già ci si aspetta che dal cilindro estragga una slide degna di un master in Bocconi, ecco la spiegazione: «Idee e parole chiare, chiavi di lettura come è stato il cetriolo per Hendrick’s. Ormai dietro al bancone tutti hanno coscienza che non si usano gin a caso: ogni gin deve corrispondere a un’idea, spiccare per qualcosa».



Così, mentre serve un geniale sour con cordiale al caffè e chinotto, gli chiediamo anche cosa ne pensa di altre due tendenze del gin, ossia la fortuna degli agrumati e la qualità di distillazione sempre crescente. La risposta, come spesso accade, non è banale: «La qualità in costante aumento può anche essere un problema». Momento di perplessità: «Mi spiego: il fatto che tantissimi producano gin premium come questo, realizzato con sette distillazioni, fa sì che si fatichi sempre più a trovare gin di linea. E per un bartender questo è un guaio. A Milano i clienti che bevono i brand ci sono, sono stati educati a chiedere una marca e sono disposti a pagare di più, ma è Milano…». E gli agrumati? «Beh, quelli sono inclusivi. A chi non piace il profumo di un limone?».

Già che ci siamo, davanti a un esperimento (riuscito!) che prevede barbabietola e cordiale allo zenzero affumicato, gli chiediamo anche qualche altra dritta sul futuro immediato e le tendenze della mixology. «Meno pugnette, più sostanza», esordisce. Un manifesto che andrebbe bene per ogni aspetto della vita, ma che nel bar assume diversi significati: «Credo che la logica dello show abbia fatto il suo tempo, l’obiettivo sarà sempre più creare sapori diversi. Oggi 49 drink su 50 serviti sono sour: la differenza la farà sempre più la materia prima. La parte alcolica non deve più essere un pensiero, la diamo per scontata. Concentriamoci sul resto, studiamo le materie prime vegetali lavorate, conosciamole, scopriamole». Dal creatore del concetto di gastromixology – ormai condiviso e imitato, ma qualche anno fa rivoluzionario – ci sta.

Identità” è un altro concetto che ritorna nei suoi discorsi di accompagnamento al curioso drink a base mezcal, giocato su note sapide di pomodoro secco, zafferano e dolcezza di cedrata. «Se non punti su una tua identità forte – continua Sisti -, sei schiavo delle mode. Per esempio, oggi c’è l’ossessione del ghiaccio, questi cuboni belli, trasparenti, perfetti, tutti uguali… Ma il ghiaccio è un nemico! La diluizione è un nemico. Pensate a quelle fragolone grandi come pesche che sanno di nulla… Bisogna ricercare l’intensità e una diluizione naturale con gli ingredienti, non con il ghiaccio. Anche perché il barista considera il drink finito quando lo appoggia sul bancone. Ma da quel momento in poi passa del tempo: la cameriera è impegnata, il cliente è al telefono, oppure beve piano, e in quel tempo il cocktail si rovina. Ecco perché il ghiaccio è nemico».

Siamo quasi alla fine del quartetto, tocca a un Lady Margarita eccellente che unisce mezcal, vermut, alga e cacao. A proposito, il mezcal, questo ircocervo che da anni ci raccontano essere il distillato dell’anno… «Ma va – ridacchia –, non sarà mai l’anno del mezcal, è troppo rude, fa selezione all’ingresso. Siamo ancora su gin e amari, si monetizza con quello». Sì, ma se dovessimo scommettere su un gusto del futuro? «L’ossidato: per esempio i vini ossidati, che sono da buttare per un cliente, un cuoco e un sommelier, a me danno note particolari che mi servono a costruire il cocktail. E dato che si va verso lo zero waste, l’ossidato sarà il futuro della miscelazione». Divisivo, Filippo, anche nelle previsioni: «Ma è giusto così. Si va verso una clientela centrata, con drink che devono a piacere a 5 persone su 10, non a tutti. Così quei cinque torneranno sempre perché rimarranno stupiti e affezionati. Identità, identità…».

Classe 1982, è cresciuto a Cremona ma a Milano è nato, si è laureato, vive e lavora come giornalista: in sostanza, è fieramente milanese fin nel midollo. Proprio come il risotto. Quando non si occupa di cose più serie ma più noiose, scrive di distillati: ha collaborato con scotchwhisky.com, fa parte della squadra di whiskyfacile.com e tiene la rubrica settimanale “Gente di Spirito” sul Giornale, di cui è vicedirettore dal 2017. Forse in gioventù ha letto troppo, e così si è convinto che solo gli alambicchi non mentano mai e che da lì esca la vera anima degli esseri umani.

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