Rita&Cocktails, il “bar di quartiere” luogo d’inclusività e connessioni

Dall’idea di Edoardo Nono e Gianluca Chiaruttini (founders) vent’anni fa nasceva Rita, un brand, un modo di concepire il bere miscelato, una nuova ritualità nell’accoglienza del cliente. Nell’intervista a Edoardo Nono, il racconto di un luogo cult in cui ogni giorno si celebra la mixology

Rita&Cocktails si trova in una traversa dell’Alzaia del Naviglio Grande di Milano. Un po’ classico american bar, un po’ home away from home (piacevole e confortevole come la propria casa), un po’ Bar Culture, Rita è da vent’anni a questa parte promotore e protagonista della ritualità legata all’aperitivo, caratterizzandosi per l’offerta di drinks realizzati con le migliori etichette e succhi, per un’esperienza di qualità. Da Rita è cambiato tutto ma non è cambiato nulla. Dopo la ristrutturazione il locale è ancora più bello. Mantenuto inalterato il logo elegante scritto in corsivo, lo stile e gli arredi (i mitici divanetti in pelle rossa), i 70 metri quadrati di locali hanno visto una riorganizzazione degli spazi e un cambiamento che interessa il bancone del bar. Un banco a ferro di cavallo occupa oggi quasi interamente l’area centrale del locale, divenendo protagonista assoluto con il cliente in primo piano.

Un’ampia bottiglieria ospita più di 80 etichette di gin e almeno 500 etichette di distillati premium di ogni natura. Dal 2022 nella compagine societaria Chiara Buzzi, già socia del Rita’s Tiki Room, è subentrata a Gianluca Chiaruttini.

Nell’intervista a Spirito Autoctono, il bartender Edoardo Nono racconta l’anima di una delle insegne cult di Milano.



Come hai iniziato?

«È stato un esordio da professionista. Ho iniziato a viaggiare molto giovane lavorando in resort di lusso, alberghi e navi da crociera per fermarmi solo nel 1998. Ho calpestato i banconi dei bar dall’88, a dispetto di una formazione tecnica e di un percorso da scuola alberghiera. Quando ho aperto Rita&Cocktails avevo alle spalle dieci anni di esperienza maturata in giro per il mondo; era il 12 dicembre del 2002. Nel 2019, assieme a Gianluca e alla nuova socia Chiara Buzzi, abbiamo raddoppiato la vetrina sui navigli con Rita’s Tiki Room».

Vent’anni sono qualcosa d’importante. Come avete scelto di festeggiarli?

«Rita in questi giorni è nel pieno dei suoi festeggiamenti. Abbiamo allestito per questo ventesimo compleanno un calendario ricco di appuntamenti in un’atmosfera da vero e proprio Bar Culture. Abbiamo pensato a degustazioni, a masterclass con ospiti del Bar Industry internazionale e nazionale dove si alterneranno i barman storici del Rita che presenteranno nuove ricette e/o i loro drink ancora in carta. Quattro settimane in cui festeggeremo anche un altro compleanno significativo, quello dei 150 anni di Matusalem Rum, main partner del progetto Rita Bar Culture. Il concetto di Bar Culture è nato nel momento in cui abbiamo fatto il focus su cosa stavamo celebrando, ovvero su questi 20 anni di molteplici connessioni, fatte di amici, colleghi, professionisti che hanno ruotato intorno al Rita, riferimenti assoluti per noi ancora oggi. Pensare al bar come un concept, un modo, un’idea di affrontare il lavoro, è fondamentale nel mondo contemporaneo. Bar Culture è una definizione che fotografa bene questo istante. Abbiamo creato qualcosa che esula dall’attività in senso stretto, che inizia e finisce qui».



Essere American Bar significa avere un preciso concept, anche la definizione dà una connotazione specifica. Come eravate e come siete diventati?

«Rita ha sempre mantenuto un tipo di fruibilità e una semplicità di accesso che l’American Bar nella sua concezione più ortodossa in realtà non riesce ad avere, in quel concept c’è una seriosità e un approccio molto didascalico. Rita è più facile, inclusiva, quotidianamente andiamo a toccare e stimolare differenti sensibilità. Sicuramente siamo un American bar dal punto di vista qualitativo del prodotto, ma l’accoglienza è piuttosto semplice sebbene internazionale. Dico sempre che Rita è un “international neighborhood bar”, un bar di quartiere in un quartiere come quello dei Navigli che guarda lontano, e allo stesso tempo è il centro del mondo».

Rita è un luogo dalle tinte vivaci per la diversità dei suoi clienti, per la varietà della materia prima che ogni giorno entra nella miscelazione. Anche per quest’ultima, si può parlare di sostenibilità?

«Sì, nel modo più assoluto. La tecnica insegna come usare i prodotti in modo proficuo e circolare. Prendi l’ananas, ad esempio, dove davvero non si butta via niente: le parti esterne diventano guarnizioni, la polpa il succo, la buccia la teniamo da parte per altri impieghi, con lo scarto della polpa ancora non esausta ci facciamo un punch base rhum. Tutta la frutta fresca di giornata avanzata viene essiccata o utilizzata per fare i cordiali. In sostanza, non si butta via niente».



Cos’è per te la miscelazione?

«La miscelazione cambia sempre e non cambia mai. Si arricchisce di nuovi elementi, di sperimentazione, poi inevitabilmente si ritorna da capo, ma con una nuova suggestione, una novità. Un po’ come per la cucina: le persone scelgono il fine dining ma tornano sempre alla trattoria. Rita ha una connotazione più da trattoria, rimane un luogo più canonico dove il prodotto è il centro del nostro lavoro: ci piace la materia prima fresca, facciamo tanta preparazione home made. Niente miscelazione contemporanea ancora».

Rita è avanguardia?

«No, Rita non è mai stato un american bar avanguardista, difficilmente attuo nuovi modi espressivi in contrasto con la tradizione e con il gusto corrente. Cerco sempre la coerenza, soprattutto la fruibilità. Rita è costanza, facilità di beva, prodotto fresco, accoglienza. Ci piace pensare che Rita significhi qualità. I nostri clienti sono certi, anche dopo tanti anni, che se verranno qui a bere sapremo sorprenderli, coccolarli, trovare il drink perfetto per loro. Andiamo dritto al punto, guardiamo la sostanza».



Il Gin Zen

Il cocktail da vent’anni in carta.

«Rita è “The House of Gin Zen”. Gin Zen è senza ombra di dubbio il mio signature drink che io stesso ho creato nel 1998 e portato successivamente al Rita dove è diventato il drink per eccellenza. Un cocktail icona a base di ghiaccio tritato, gin, zenzero fresco pestato, lime e soda, e che rappresenta il 10% dei drink che facciamo».

Un aneddoto che ti va di condividere.

«Mi sorprende trovare al Rita i figli dei miei clienti, i bambini che venivano al locale e che in questi anni ho visto crescere».

Perché Rita?

«Perché è un nome italiano, vintage ma allo stesso tempo sempre fresco e attuale. In quegli anni ci aveva colpito molto la longevità del nome Gilda, che risuonava sempre nuovo e contemporaneo nonostante fosse utilizzato da decenni. E il locale aveva proprio un aspetto anni ’50, una serie di dettagli che ci hanno indirizzato verso la figura di Rita Hayworth, tra le più belle e seducenti donne della storia del cinema. Nell’immaginario collettivo la prorompente e tentatrice Gilda».

Il futuro di Rita.

«Questi ultimi due anni ci hanno permesso di consolidare una situazione finanziaria piuttosto faticosa che come molti abbiamo vissuto a causa del Covid. Oggi il locale sta andando molto molto bene, anche grazie al lavoro della mia nuova socia Chiara Buzzi che è stata capace di impostare una nuova comunicazione e di traghettare il domani. Il Rita è un progetto che si è servito di evoluzioni lente e costanti, non di stravolgimenti. Vuole ancora oggi celebrare la normalità: è cambiato tutto ma, in fondo, non è cambiato niente».

Master Sommelier Alma Ais, Esperto Assaggiatore Onav, Bartender di 1° livello Campari Academy. Caporedattore di Vendemmie Adnkronos Wine, scrivo di vino, cibo e viaggi per diverse testate tra cui la rivista cartacea James Magazine.

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