Daniele Cancellara, Rasputin di Firenze: riflessioni – e confessioni – sul bere contemporaneo

È uno dei volti più conosciuti del bartending italiano, e dal Rasputin di Firenze, ci regala una visione su trend, stili di beva e qualche riflessione sul suo distillato del cuore: il whisky

Daniele Cancellara, classe 1984, al mondo del bar e della mixology si è affacciato per puro caso, con l’esigenza di sostenere i propri studi universitari. Poi, durante uno dei primi lavori dove il mondo dei cocktail era veramente semplificato e spartano, qualcosa è comunque riuscito ad accendere in lui la voglia di approfondire quell’arte così scenografica e profonda. Si iscrive quindi ai corsi professionalizzanti A.I.B.E.S (Associazione Italiana Barman e Sostenitori) e lì scopre, sotto la guida attenta di Luca Picchi ed Elisa Randi, che quella curiosità in realtà è una vera passione, che da lì in poi non lo lascerà più.

“Trovo la tendenza no waste e sostenibile interessante, anche se è praticamente solo comunicazione nel mondo degli spirits”

È il 2016 quando approda al Rasputin, il celebre speakeasy e secret bar di Firenze situato “da qualche parte” nello storico quartiere d’Oltrarno. Un locale che si ispira liberamente all’epoca del proibizionismo Usa degli anni ‘30 e del quale, Daniele in breve tempo diventa bar manager. Qui contribuisce al successo del locale, aiutandolo a diventare un’istituzione, un vero luogo di culto del buon bere nel capoluogo toscano.

Da attento professionista, Daniele impronta il suo lavoro sulla costante ricerca, basata su prodotti e materie prime. È un amante attento della propria professione, con una particolare passione per il whisky, che lo porta nel 2019 a prendere parte come scrittore e conduttore del web educational “Whisky for Breakfast”, format nato per espandere ai consumatori – ma anche agli addetti al settore – tutta la cultura e la storia legata al mondo del celebre distillato di cereali.

Nell’intervista a Spirito Autoctono, racconta temi, tendenze, stili e prodotti che disegnano i contorni della realtà legata agli spirits contemporanei, con un piccolo focus su questa sua passione chiamata whisky.


Daniele Cancellara – Rasputin Firenze

Daniele, una fotografia sul mondo degli spirits contemporanei, quali saranno le tendenze future secondo il tuo punto di vista?

«Andando a fare una fotografia degli ultimi dieci anni, direi che l’approccio della clientela al mondo spirits è decisamente cambiato. Abbiamo visto un grande ritorno al gin, ritorno che è stato sicuramente amplificato anche grazie alla forte comunicazione che è girata intorno a questo prodotto, oltre al fattore sicuramente più importante dato dalla sua facilità di produzione, dando inizio ad una vera esplosione di centinaia di nuovi brand in tutto il mondo. L’insieme di tutti questi fattori ha dato al cliente un pretesto per sentirsi “speciale” e più informato, aiutando ad uscire dalle solite scelte e portandolo a chiedere un prodotto alternativo ai classici. Tutto questo ha reso inevitabile il cambiamento di richiesta al bancone, dove il cliente ordina citando direttamente il brand, ma per fortuna c’è ancora chi, al di là del voler provare la novità, si affida al professionista.

C’è stata inoltre la diffusione di spiriti meno noti, come quelli di agave, tequila e mezcal, che stanno avendo una scoperta da parte dei consumatori e degli addetti al settore. Il positivo di ciò è stata l’apertura e la curiosità da parte dei consumatori verso i distillati meno noti, e chissà che un giorno non saranno di tendenza i distillati di frutta. Poi, azzardando un po’, credo che ci sarà un ritorno di cognac e armagnac, con un generale aumento di interesse verso tutti i brown spirits, come già si è visto negli ultimi anni con il whisky».

Stili di beva. Ogni cliente ha un proprio gusto. Nella tua esperienza al Rasputin di Firenze, quanto i nuovi bevitori seguono le mode e quanti cercano di costruire uno stile personale?

«Purtroppo, non sempre il cliente ha un gusto, o almeno, lo ha ma non conosce, quindi, cerca solo quello che già conosce per andare sul sicuro, perché non sempre, chi siede al bancone di un bar ha voglia di concentrazione o è spinto da curiosità, dunque tende a ripetersi.

Spesso, in Italia si frequentano cocktail bar o simili solo per poter dire di essere uscito, ma senza cercare qualcosa di particolare da bere. Concentrandomi su una delle mie passioni principali, quella per il whisky, posso dire che, in generale i bevitori di whisky si dividono in due categorie: ci sono quelli che vogliono quel prodotto che non trovano ma che già conoscono, oppure quelli curiosi che vogliono provare nuove realtà. Naturalmente lavorare con i secondi è molto più stimolante e divertente e sono anche quelli che stimolano, la mia personale ricerca.

Per quanto riguarda i cocktail invece, parlando della realtà del Rasputin, la maggior parte dei clienti ordina i signature, ma anche perché il bar è piccolo ed è difficile che qualcuno venga da noi per caso».


Il Judex*

*Judex: Grifu Gin, Amaro Nardini, Sciroppo di Barbabietola e Arancia, Bitter all’Arancia, Velluto di Pimento

Tendenza No Alcol. Come si gestisce questo nuovo trend e secondo te, quale sarà il futuro di questo movimento del bere?

«Nel caso del Rasputin, la tendenza no alcol è davvero una fetta microscopica delle nostre preparazioni totali. In generale però, credo che sia giusto fare attenzione a un concetto, semplice tanto quanto importante. Preparare una bevanda priva di base alcolica non deve significare dare meno attenzione a quella specifica preparazione. Sembra spesso che senza alcol un cocktail non possa essere curato e molti finiscono per fare mix di frutta a caso. Ci sono invece, tanti interessanti ingredienti che si possono utilizzare: tè ed infusi, spezie, verdura, radici e molte altre cose per creare cocktail buoni e interessanti. Questa è certamente un’attenzione che per rispondere a questa tendenza, ogni all day bar dovrebbe attuare. Per un locale come Rasputin è diverso. Essendo strettamente serale, la richiesta di no alcol cocktails è bassissima, ma per fortuna esistono oggi persino gin con i quali anche una minima quantità può dare i giusti aromi e creare un grande cocktail – o mocktail».

E se parliamo di sostenibilità?

«Trovo la tendenza no waste e sostenibile interessante, anche se è praticamente solo comunicazione nel mondo degli spirits, altrimenti utilizzeremo molti prodotti in bag in box. Parlare di sostenibilità con prodotti che arrivano dall’altra parte del mondo in aereo o nave, in container pesantissimi ha ragione il giusto di esistere. Poi è ovvio che la bottiglia ha il suo fascino, ma si relega in un altro contesto, quello dell’esposizione per la vendita o la somministrazione liscia».

Dal tuo punto di vista c’è un prodotto che ha saputo evolversi nel corso del tempo?

«Il whisky. Indipendentemente dalla passione che mi lega a questo prodotto credo che sia il perfetto candidato per rispondere a questa domanda. Ma attenzione. Non si tratta di evoluzione, ma di comprendere quanto la comunicazione, l’opinione pubblica e la conoscenza media del consumatore sia importante e decisiva. Parlando di whisky, ad esempio, abbiamo creduto per anni che un single malt con meno di 7 o 8 anni non potesse essere buono. Ciò è nato dall’esigenza di smaltire le centinaia di migliaia di botti che le distillerie avevano nei magazzini negli anni ‘80, quando i single malt hanno iniziato ad avere un mercato. Ad oggi invece, abbiamo una ricerca molto più accurata sui prodotti, sul risultato finale. Proprio per questo è normale trovare whisky – ma non solo – no age, con invecchiamenti atipici, che comunque hanno una resa straordinaria. Questa è una lezione che dovremmo imparare, senza giudicare un prodotto dalle etichette che erroneamente gli sono state date in passato. Solo così possiamo permettere l’evoluzione dei prodotti, mantenendone tradizione, stile e facendoli affermare nella nostra contemporaneità».

Raccontaci di “Whisky For Breakfast”.

«Whisky for Breakfast è un progetto all’interno del quale cerchiamo di raccontare l’immenso mondo che è il whisky attraverso degli educational. Parliamo di distillerie, imbottigliamenti, ma anche di storia e attualità, tutto legato al mondo del celebre distillato di cereali. Questo ci ha portato anche a girare dei piccoli corti nelle distillerie del Giappone, Irlanda, Scozia e Francia, per cercare di trasmettere l’emozione della produzione con episodi che sono reperibili su ogni social. Una cosa molto divertente e interessante, oltre che utile per gli appassionati».



Daniele, una visione sul mondo degli spirits italiani e prospettive per il futuro.

«Sicuramente il mondo degli spirits italiani sta crescendo. Abbiamo sempre avuto una tradizione liquoristica enorme, e negli ultimi anni abbiamo visto anche la nascita di diverse distillerie, con prodotti di ottima qualità. Dovremmo cercare in futuro, di sfruttare la biodiversità del nostro Paese anche nel mondo dei distillati nel migliore dei modi, creando così un vero e proprio stile italiano».

Per concludere. Quale cocktail per te è un vero tributo al lavoro che fai e che definisce il tipo di barman che sei?

«Il cocktail per eccellenza che rappresenta il lavoro del bartender è il Gin Fizz. È l’incrocio perfetto di ogni tecnica, c’è la ricerca dell’equilibrio più tradizionale, ma basta un minimo cambiamento per ottenere dei risultati diversi». (IF)

Vive fra Firenze (Toscana) e Merano (Alto Adige). Comunicatrice e scrittrice enogastronomica, sommelier e degustatrice di vini e distillati. Con la sua agenzia, la Io & Vino, si occupa di consulenza e formazione per attività ristorative con un forte focus sulla creazione di carte vino e distillati, su tutto il territorio nazionale.

Potrebbero interessarti