DALLA MORA SOGNA IL DISCIPLINARE DEL GIN ITALIANO. IN ARRIVO SPIRIT BOUTIQUE, VERMOUTH E NUOVO READY-TO-DRINK

Il patron di Engine racconta il distillato dedicato al mondo dei motori, tra strategie di marketing e ricerca di qualità del prodotto. «Mi piacerebbe vedere un disciplinare del gin italiano»

Idee chiare e una ben definita impostazione del brand. Quando ha creato Engine, Paolo Dalla Mora ci ha pensato bene, costruendo un progetto di marketing ragionato in ogni minimo dettaglio, per tirare – come dice lui – uno «schiaffo alle bottigliere seriose» con un prodotto «disruptive» in grado di parlare al pubblico e raccontare un mondo caro ai consumatori target – quello dei motori. Una sorta di megafono tra tanti prodotti «muti», a cui legare contenuti e contaminazioni. Ne è un esempio la piattaforma Engine.Land appena lanciata, la gas station virtuale brandizzata in stile anni ’80 e arricchita da sezioni interattive, per compiere un virtual tour in 3D nel mondo del gin.

Ma Engine non è soltanto un guscio. Se la corazza – ovvero la tanica – è solida ed eloquente, il contenuto non è da meno e nasconde attenzione alla materia prima e al processo di lavorazione, oltre a un profilo inaspettatamente delicato dal punto di vista dello stile, tanto che piace sia in mixology che sorseggiato on the rocks.

A chi si dice scettico sull’abbinata “alcol e motori”, Dalla Mora rilancia con campagne “Never drink and drive”, portando i bartender a sfidarsi in gare di drifting firmate Engine sul circuito del padre di Valentino Rossi. Crede nella qualità del gin italiano e non gli dispiacerebbe un disciplinare per regolamentarlo e valorizzarlo all’estero.
Tra i progetti futuri, una Spirits Boutique, una linea di Vermouth – in uscita in novembre – e un nuovo ready-to-drink, il Contrattino Bitter Tonic, revival dello storico Contratto Tonic della cantina Contratto di Canelli, ideato assieme a Luca Gargano di Velier e Giorgio Rivetti di Contratto.



Paolo, come nasce Engine? Perché ha scelto il gin “to fuel the dream” in Langa?

«Venendo dal mondo del marketing e della comunicazione, guardavo la bottigliera e vedevo che c’erano tanti prodotti, interessanti ma “muti”. Il mio obiettivo è stato realizzare un prodotto in grado di parlare al mondo dei motori, e più in generale del racing, che da sempre sono una mia grande passione. Da qui “Fuel the Dream”. Perché quello che spesso manca, la dico in termini di marketing, è la brand activation. Non ti puoi aspettare che un consumatore scelga il tuo prodotto solo perché è esteticamente bello. Ci vuole qualcuno che lo attivi nel modo giusto, qualcuno in grado di farlo “parlare”. Da quando Engine è nato abbiamo messo a terra diverse attività per farlo parlare con il suo mondo di riferimento: i motori. Un percorso che ha preso forma con la sponsorizzazione di Mv Agusta nel Motomondiale, con l’organizzazione dei Drifting Days insieme al papà di Valentino Rossi e stringendo accordi con il mondo Nascar. E, a breve, annunceremo la squadra e il pilota con cui andremo alla Dakar. Oggi, in un mondo in cui il contenuto è così centrale, una strategia di contenuti che siano vicini alla marca vale tutto. A questo aggiungi che, oltre a una lunga esperienza nel mondo degli spirits, avevo avuto l’opportunità di conoscere molto da vicino il mondo della moda con Moschino, del quale sono stato direttore marketing. Per questo volevo un’estetica nel gin che potesse parlare in modo diverso, in maniera ironica. Così nasce il gin in lattina. È stato il nostro schiaffo alle bottigliere seriose, ai prodotti che si parlano addosso (ma non parlano agli altri), alle etichette che richiamano grandi località turistiche o nomi fantasiosi legati a bottiglie fluorescenti e metallizzate.

Per quanto riguarda il contenuto di Engine Gin, sicuramente la cosa più importante dell’intero progetto, ci siamo impegnati a realizzare un prodotto serio made in Langhe. Nelle Langhe abbiamo creato un gin che, con i suoi botanicals, rappresenta un viaggio dal nord al sud Italia. Engine è prodotto con ingredienti 100% biologici, 100% italiani, da filiera controllata e certificata: alcol di frumento biologico, ginepro della Toscana, salvia dell’Alta Langa, limoni di Sicilia, radici di liquirizia dalla Calabria, rosa damascena fiorita in Piemonte e acqua dalle Alpi. Da un punto di vista di “dream”, e qui ritorno al discorso della brand activation, ho voluto concretizzare i miei sogni da teenager. Quello che facciamo è un prodotto e delle attività collegate che sono in linea con i sogni del nostro target e con quelli che avevo io alla loro età. Il nostro pubblico di riferimento va dai 18 ai trent’anni. Sono appassionati di corse, motori, clubbing, concerti. Sono fan di Valentino Rossi, della Formula Uno, di Charles Leclerc, di auto come la Lancia Delta, delle vecchie BMW M3, delle Porsche d’epoca e della vecchia Panda Sisley o della Panda Prima Serie. Perché noi cresciamo e pensiamo che le cose non vadano più di moda. In realtà al target giovane queste cose continuano a piacere».



Gin e motori, non è l’abbinata più immediata, soprattutto oggi. Come si conciliano nella strategia comunicativa?

«I motori sono la fonte d’ispirazione per la nostra immagine. La lattina, le taniche, l’ice bucket, le mug. Qualsiasi oggetto produciamo, collegato a Engine, richiama quell’universo. Stiamo molto attenti a non creare confusione. Basta vedere i nostri social: quando parliamo di auto, moto e racing, non parliamo di gin o di cocktail. E viceversa. Ci impegniamo molto a livello di responsabilità sociale. Anche con campagne di sensibilizzazione e pubbliche relazioni. Solo per fare un esempio, durante tutti i nostri eventi, per evitare che la gente si metta alla guida, mettiamo a disposizione navette o driver. “Never drink and drive”. Questa è la nostra prima regola. Siamo contrari anche alla tolleranza del tasso alcolemico di 0,5 g/l previsto dalla normativa. Per noi la tolleranza è zero e chi beve non deve guidare alcun mezzo. Questo non vale solo per i motori, ma anche per le biciclette. Chi beve, non deve mettere in pericolo gli altri e sé stesso.
Detto questo, a livello di immaginario, c’è sempre stata una forte connessione fra il mondo degli spirits, del bartending e quello dei cocktail. Ti parlo dei vari Sidecar, Mi-To o Bentley Cocktail. Fino agli anni ‘80 mettere il proprio logo su un’auto o sulla tuta di un pilota era un modo per avere un sacco di visibilità a livello mondiale. Tante grandi aziende del settore lo facevano. Oggi le cose sono un po’ diverse, ma neanche troppo. Sul podio delle grandi corse vediamo ancora brindare con Champagne o spumante».

Con chi lavorate per la distillazione? Attraverso quale processo di lavorazione in distilleria nasce Engine?

«Per la distillazione lavoriamo con gruppo di tecnici e consulenti con i quali, dopo ogni raccolto, testiamo le botaniche per avere giusto livello di gusto e balance. Quando lavori con materie prime biologiche e naturali è molto impegnativo raggiungere lo standard produttivo ideale, ma noi facciamo ogni azione possibile per raggiungere questo traguardo. Siamo meticolosi, controlliamo (e assaggiamo) ogni batch più e più volte prima che venga immesso in distribuzione. Abbiamo due distillerie. La prima si trova in Alta Langa. È una micro-distilleria dove studiamo tutte le nuove produzioni e facciamo tutte le lavorazioni speciali. Qui si lavora ancora tutto a mano. Poi, sempre in Piemonte, abbiamo una distilleria più grande, destinata alle produzioni su larga scala con la nostra linea di imbottigliamento. L’imbottigliamento in questo caso è semi-automatico. Perché c’è sempre una forte componente di manualità che vogliamo conservare».



Le botaniche provengono da differenti regioni italiane. Qual è il focus nella selezione?

«Abbiamo messo al centro del nostro progetto il terroir. Un concetto mutuato dal mondo dell’enologia. Abbiamo fatto una ricerca particolarmente accurata per la scelta dei fornitori e delle aree più vocate, dal nord al sud Italia, per la produzione delle nostre botaniche. La salvia la raccogliamo in Alta Langa, a 800 metri d’altezza, perché è una delle migliori aree per questo tipo di coltura. I terreni sono esposti a nord-ovest. Questo ci permette di avere una salvia che matura un mese dopo rispetto a quella coltivata in pianura o lungo la costa. Per i limoni abbiamo trovato una piccola azienda agricola, affacciata sulla costa tirrenica della Sicilia, che produce agrumi con una scorza molto ricca in olii essenziali. Idem per le altre botaniche. Per il ginepro abbiamo scelto la migliore qualità toscana. La liquirizia è quella Dop di Rossano in Calabria. I petali di rosa damascena provengono da colture d’eccellenza piemontesi. Tutti i prodotti che usiamo sono certificati bio e questo ci dà grande rassicurazione sulla materia prima. Rivolgerci a fornitori di prodotti biologici ha certamente un costo superiore, ma se avrete modo di assaggiare Engine capirete perché il gioco vale la candela. Personalmente suggerisco di provare Engine in un Martini Cocktail per capire la differenza tra il nostro distillato e altri gin. Amo le contrapposizioni, i paradossi. Anche per questo ho scelto di mettere un prodotto biologico, gentile e piacevole, non dentro una classica bottiglia, ma in una lattina di olio motore. Probabilmente il packaging più sporco, grasso e irriverente possibile».

La scelta della latta – curiosa e intrigante – ha creato qualche problema? Qual è stata la prima reazione del mastro distillatore?

«Engine celebra un immaginario fatto di lattine di olii e carburanti, gare di motocross e veicoli da corsa. In fase di progettazione, quando mostravo il render del progetto, erano tutti entusiasti. Avevo tutte le rassicurazioni che il progetto sarebbe piaciuto ma, alla base del mio modo di pensare, c’è un punto di partenza: a parole non convinco nessuno. Quindi dovevo dimostrare fisicamente che il prodotto stesse in piedi, che trasmettesse un’emozione. Ne è nato un oggetto di design, che è piacevole da maneggiare, da degustare, da miscelare, ma anche da esporre. Fino a qui tutto bene. Dal punto di vista produttivo la latta ha comportato non pochi problemi. Il motivo per cui non c’era nessun prodotto in latta mi è stato chiaro molto in fretta. Parto dall’inizio. Ci eravamo affidati a fornitori olandesi, ma la lattina presentava diversi problemi dal punto di vista della conservazione e mantenimento del prodotto. Perché è molto difficile conservare un distillato in una latta, ci vuole una tecnologia adeguata. I normali contenitori ad uso alimentare non sono adeguati per i distillati. A quel punto ho scelto di rivolgermi a fornitori italiani. Volevo che Engine fosse totalmente italiano. Anche nel pack. Così mi sono rivolto a quattro diversi fornitori che, in coding, hanno costruito e montato l’intera latta. Il nostro contenitore ha diversi vantaggi. Non solo in termini di conservazione, ma di sostenibilità. Un tema che ci sta particolarmente a cuore. L’imballaggio del prodotto e tutti gli altri materiali di marca sono realizzati in alluminio. Abbiamo fatto una scelta eco-consapevole basata sull’infinita riciclabilità in modo da preservare alcune delle risorse più preziose del mondo. L’alluminio rappresenta uno dei migliori materiali da utilizzare nel mondo del packaging alimentare: è una barriera contro luce, gas e liquidi e può prolungare la shelf-life del prodotto. Soddisfa inoltre le esigenze delle principali catene di vendita al dettaglio e delle industrie alimentari».



Qual è il vostro mercato in Italia? Siete distribuiti da Velier, con quale focus? Quanto lavorate sulla spinta del prodotto nella mixology?

«Credo molto al mondo della mixology. Sono convinto che i bartender siano i naturali ambassador del prodotto in miscelazione. Anche per questo motivo in Italia ci siamo rivolti a Velier, un’azienda da sempre attenta e focalizzata su questa categoria. Con Luca Gargano, patron di Velier, ci siamo trovati fin da subito. Stiamo facendo un grande lavoro sia a livello nazionale sia internazionale per introdurre Engine al mondo dei bartender. Nel 2022 abbiamo partecipato a eventi come Mixology Experience, Roma Bar Show, al tour di Baritalia, a Bcb Brooklyn, Gin Fest a Praga, Cocktail in the City a Londra, Tales of the Cocktail, The Gin Day a Milano, Tales of the Cocktail a New Orleans. Sempre quest’anno saremo presenti per la seconda volta al Berlin Bar Convent, poi all’Athens Bar Show e ad altri trade shows. Per i mixologist abbiamo costruito anche il primo “non-concorso di cocktail”. Parlo del The Drifting Day o Ginkhana. Un tipo di sfida che si riallaccia al concetto di “never drink and drive”. L’abbiamo organizzata l’anno scorso e la replicheremo quest’anno sia in Italia sia in America. Nel primo Drifting Day si sono sfidati 10 tra i più celebri bartender in Italia, con l’aggiunta del Maestro Salvatore Calabrese. Tra gli altri c’erano Patrick Pistolesi, Alex Frezza, Jimmy Bertazzoli, Cinzia Ferro, Edoardo Nono, Luca Hu. Li abbiamo portati a casa di Graziano Rossi, il papà di Valentino, che è un appassionato di drifting e ha un circuito dedicato al drifting. Abbiamo fatto lezione di guida al mattino e al pomeriggio è partita la gara tra i bartender accompagnati dagli istruttori di drifting. Il tutto senza mai toccare una lattina di Engine o un qualsiasi prodotto alcolico. I bartender si sono unicamente sfidati a driftare. È questo il nostro modo di costruire empatia con la bar community. Probabilmente uno degli aggettivi più qualificanti per Engine è “disruptive”, che noi traduciamo con rivoluzionario, fuori dagli schemi. Per questo oltre a una drink strategy e a un cocktail program, abbiamo lavorato a un libro che accoglie 22 ricette e le loro storie. Non un semplice ricettario, ma una raccolta ragionata per dimostrare la versatilità di Engine in miscelazione. Perché Engine è un prodotto che si adatta a realizzare tante categorie di cocktail (fizzes, sour, martinis, punch ecc.). Per noi è sempre importante portare l’originalità. Di questo abbiamo fatto un mantra».

Siete presenti fuori dall’Italia? Con quali progettualità?

«L’Italia è stato il primo mercato in cui siamo sbarcati. Nonostante i tantissimi lanci di gin avvenuti nel nostro Paese siamo il primo gin italiano. Per noi il mercato italiano è un punto di riferimento, un mercato test. Sia perché in Italia produciamo tutto – dal liquido al tappo – sia perché è in Italia che operiamo da quattro mani con il nostro distributore, il primo ad innamorarsi di Engine nel 2019. Dal punto di vista dell’approccio al mercato siamo un prodotto pensato per il canale horeca. Abbiamo avuto alcune avances dal mondo della grande distribuzione, ma penso che il prodotto debba essere prima di tutto costruito e consolidato nel mondo dell’horeca e nella mente dei consumatori. Il salto nella grande distribuzione, per quanto riguarda l’Italia, potrà avvenire solo quando avremo radici ben piantate nell’industria dell’ospitalità. Subito dopo l’Italia, siamo entrati in Svizzera e Repubblica Ceca. Il vero grande salto è avvenuto con l’accordo di partnership stretto con ILLVA Saronno Holding, proprietaria di Disaronno e di tanti altri celebri marchi. È un’azienda che conosco molto bene perché ci ho lavorato come dirigente per quasi un decennio. L’accordo di distribuzione internazionale siglato con ILLVA ha portato Engine già in oltre 15 mercati: Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Canada, Giappone, Australia ecc. Per il prossimo anno ci stiamo preparando per l’ingresso sui mercati di Germania, Spagna e Cina».



Avete partecipato a diversi eventi, soprattutto su Milano. Qual è la reazione del consumatore di gin italiano nell’assaggiare Engine?

«Le reazioni si riassumono in “wow che figo” e “wow che buono” oppure “wow pensavo fosse solo un progetto di marketing invece sai che è stra-buo-no?!”. Che poi sono gli stessi – e questa è una delle nostre più grosse soddisfazioni – che sui social commentano, “non ci credevo, l’ho provato ed è buonissimo”. Nella categoria di quelli che dicono che è buono ci sono poi due filoni: quelli che affermano che è perfetto per i vari Gin Tonic, Martini cocktail, Negroni e quelli che dicono è un prodotto da sipping, da degustazione. Il fatto di piacere sia al popolo degli intenditori sia al popolo che frequenta i cocktail bar è sicuramente un altro motivo di orgoglio».

Riscontrate attenzione agli spiriti italiani tra i bartender del Belpaese?

«I bartender hanno approcciato Engine in maniera molto positiva e ci aiutano a costruirlo giorno dopo giorno…Anche perché è italiano. Più in generale i prodotti nazionali stanno vivendo un bel momento. Penso al boom di vermouth, bitter, amari, al successo internazionale del rosolio Italicus dell’amico Giuseppe Gallo e, ovviamente a Sgrappa, la grappa piemontese che ho costruito insieme a Maurizio Cattelan e Charley Vezza, con la volontà di rinnovare – anche dal punto di vista della comunicazione – il distillato di bandiera».

Oggi il mercato dei gin è piuttosto affollato in Italia. È un bene o un male? Questa ampiezza di offerta porta valore o disperde energie?

«In Italia Engine sta facendo un grande exploit sin dal suo esordio. Ma non viviamo gli altri produttori come concorrenti. Dal mio punto di vista dovremmo smettere darci battaglia in Italia e presentarci compatti e con un’idea sul mercato internazionale. Dando al gin italiano tutta la credibilità che merita. Quello che mi piacerebbe vedere è un disciplinare del gin italiano. Questo strumento ci offrirebbe l’opportunità di costruire delle sinergie, di fare sistema a livello di produttori ed essere riconosciuti a livello internazionale. Un po’ come succede per i grandi produttori del Barolo, del Barbaresco o quelli della Borgogna. Non sono neanche di quelli che storcono il naso di fronte alle aziende specializzate nella produzione di piccoli quantitativi a marchio. Quelli che “da noi puoi fare anche solo una o dieci bottiglie del tuo gin”. Se un appassionato vuole farsi produrre 100 o 10 bottiglie di gin con la propria etichetta, magari da regalare agli amici o ai clienti, non vedo quale sia il problema. Trovo anzi, che sia assolutamente giusto che esista quel tipo di mercato».



Rimarrete un brand mono-prodotto?

«Siamo molto concentrati sull’innovazione. In pentola bollono tanti progetti. Uno dei primi a concretizzarsi è stato il ready-to-drink Engine GT – Il Gin Tonichino delle Langhe, elaborato con Teo Musso di Baladin. Si tratta di un premix pensato per il mondo degli eventi e concerti dalla formula unica al quale non è necessario aggiungere ghiaccio. Al binomio salvia e limone, caratteristico di Engine, si accompagna una tonica in perfetto equilibrio tra componenti agrumate (bergamotto e limone) e note bitter di chinino, assenzio e radici di erbe aromatiche. Engine GT – Il Gin Tonichino delle Langhe è un concetto molto pop. Basta aprire il coperchio della lattina, con linguetta a strappo, per bere direttamente il prodotto fresco senza metterci il ghiaccio. Niente ghiaccio annacquato o bicchieri di plastica tipici degli eventi live. Qui sta tutto in una bella lattina da 237 ml. Engine è un lovemark per cui non ci sarà un’estensione del brand Engine in altre categorie di spirit. Al momento l’unica estensione di brand è la nostra collezione ready-to-wear (felpe, t-shirt e altri capi) a marchio Engine. Non posso dare ulteriori anticipazioni, ma ci sarà una collaborazione molto interessante che partirà sia sul mercato italiano sia quello internazionale a partire dall’inizio del 2023. Ci sarà comunque innovazione. E anche tanta.

Quali nuovi progetti in vista?

Nel capitolo dei progetti futuri, oltre a Engine, c’è l’idea di costruire una Spirits Boutique, una piccola azienda di spirits italiani e non. Tra i prossimi progetti a partire ci sarà una linea di vermouth creata a partire da un’antica ricetta dei primi del Novecento. L’abbiamo sviluppata con dei consulenti molto preparati e la presenteremo in autunno. Sarà una linea di Vermouth di Torino che comprende un Rosso, un Riserva, un Bianco e un Dry. A questo quartetto si affianca un bel progetto di Bitter. Perché dopo tante cose piemontesi, ci voleva un tributo a Milano. Siamo in fase di acquisizione di un brand, la cui formula è tra le più antiche nel panorama della Madonnina. Sulla pista di lancio abbiamo anche un altro ready-to-drink. Un prodotto costruito a tre teste. La mia, quella di Luca Gargano di Velier e quella di Giorgio Rivetti di Contratto. Parlo di Contrattino Bitter Tonic, un revival di Contratto Tonic, storico prodotto della cantina Contratto di Canelli. È un ready to drink 100% biologico, in formato da 20 cl, con un tenore alcolico moderato (5,5% vol.) Un prodotto dal gusto ricco nel quale spiccano componenti amaricanti come la china naturale. Erbe e agrumi conferiscono al prodotto carattere fresco e dissetante».


Su VinoNews.it un approfondimento con le note di degustazione di Engine


 

Radici toscane tra Mugello e Chianti, adottata in Veneto tra ombre e bacari. Ha il naso sul vino da quando lo ha tolto dai libri (forse le cose si sono anche un po’ intrecciate…) e un passato tra voli intercontinentali, valigiate di bottiglie, Paesi asiatici e degustazioni. Diplomata Ais, approda alla comunicazione come ufficio stampa e poi nella redazione di VinoNews24.it. Viaggia, assaggia, scrive, ascolta molto e parla quando serve (svariate lingue).

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