Dgin Irpinia Spirito Autoctono

DGin, dall’Irpinia alla Costa di Amalfi, botaniche campane per “spiriti erranti”

Roberto Di Meo, vignaiolo irpino appassionato di Gin, ha voluto firmare un distillato che parlasse della sua terra

Una lunga esplorazione botanica, che nasce in Irpinia per arrivare sulla Costa d’Amalfi, alla ricerca di un’identità multiforme e autentica. Prende spunto da questo viaggio il progetto DGin, la nuova referenza che vede affacciarsi nel mondo spirits un produttore vitivinicolo d’eccellenza come Roberto Di Meo.

Il patron della cantina omonima ha voluto infatti dare corpo all’ambizione di “tradurre la natura, spontanea creatrice di profumi, gusti e suoni, per identificare l’essenza di un territorio. Connettersi alle persone attraverso l’impatto immateriale della suggestione”.
Per Di Meo, la sua DGin è tutto questo: “una proposta per spiriti erranti, sensibili al richiamo della reminiscenza”. Lo racconta a Spirito Autoctono in questa intervista.



Di Meo, come nasce il vostro progetto dedicato al gin? Moda o passione?
«Da sempre il gin è uno dei miei distillati preferiti, sia “assoluto” che nella miscelazione. Dopo diversi anni da “consumatore” e dopo un’accurata ricerca di botaniche – che è una delle mie passioni ed è stata quasi un’ossessione per mio padre Vittorio – ho deciso di cimentarmi nella produzione di un Gin che mi rappresentasse».

Come si innesta in una storia di famiglia focalizzata sul vino?
«Per consumo personale (ovvero non per la vendita) e per passione, oltre al vino, la mia famiglia ha sempre prodotto liquori. Non a caso, per la produzione dei miei liquori di punta – il Ratafià di Nonna Erminia e lo Schiaccianoci – mi sono fortemente ispirato a delle ricette di famiglia. Ho fondato la mia azienda vitivinicola con i miei fratelli nel 1986, ma già dall’inizio degli anni ’90 abbiamo fortemente voluto annettere anche i distillati e i liquori alle nostre proposte enologiche».

Da chi vi fate produrre il Gin? Andrete anche su altre referenze di prodotto?
«Mi servo di un impianto di distillazione delocalizzato. Su altre referenze di prodotto posso dire che… c’è sempre qualcosa che bolle in pentola nella mia testa e in azienda».

Attraverso quale processo di lavorazione in distilleria nasce DGin?
«È assolutamente un puro London Dry Gin!».

«Dopo diversi anni da consumatore e una ricerca accurata di botaniche – che è una delle mie passioni ed è stata quasi un’ossessione per mio padre Vittorio – ho deciso di cimentarmi nella produzione di un gin che mi rappresentasse»

Le botaniche provengono tutte dalla Campania? Qual è il focus nella selezione?
«Tutte dalla Campania, ad esclusione del ginepro (che viene dalla Toscana) e del bergamotto (che nasce in Calabria). Il focus è legato alla ricerca di botaniche territoriali che rispondessero alla mia idea di gin».

Qual è il vostro mercato in Italia?
«Solo ed esclusivamente canale Ho.Re.Ca., con una clientela selezionata».



Appassionato di gin, Roberto Di Meo ha voluto firmare (e coltivare come brand autonomo) un distillato che parli della sua terra

Siete presenti fuori dall’Italia anche con il gin? Con quali progettualità?
«Anche all’estero siamo presenti solo ed esclusivamente nell’Ho.Re.Ca. Abbiamo partner selezionati principalmente negli USA e in Canada, per adesso, ma puntiamo sul mercato europeo per i prossimi mesi».

Quanto lavorate sulla spinta del prodotto nella mixology?
«Scelgo di dare un gran valore alla mixology, non solo con il mio gin ma con tutte le altre referenze di distillati e liquori. Nelle brochure a tema non mancano mai ricette di barman appassionati e conoscitori dei miei prodotti, che sappiano consigliare al meglio il consumatore anche per i giusti prodotti da associare nei cocktail».

Riscontrate attenzione agli spiriti italiani tra i bartender del Belpaese?
«Direi proprio di sì, almeno per quanto riguarda la mia personale esperienza».

Oggi il mercato dei Gin è piuttosto affollato in Italia. È un bene o un male? Questa ampiezza di offerta porta valore o disperde energie?
«Io cerco di vedere sempre gli aspetti positivi: c’è sicuramente una maggiore curiosità e consapevolezza nel consumatore e questo è un bene. Il mercato italiano è “affollato” anche nel settore del vino, ma è davvero sfidante trovare e far emergere in qualche modo la propria voce in una moltitudine. Sarebbe troppo facile e scontato il contrario e io mi concentro sul valore».

Sul Gin avete fatto un’operazione di branding dedicata. Perché?
«Soprattutto perché volevamo avesse la sua specifica identità ed “autonomia” rispetto agli altri prodotti Di Meo».


Per un approfondimento sulle botaniche e sulla natura del DGin, ecco le note di degustazione su VinoNews24.


 

Dopo qualche divagazione tra Nietzsche e Wittgenstein, è tornato a Epicuro. E così scrive di vino, sapori e spirits, di viaggi, di teatro e danza. Veneziano, fa base a Praga. Ama il whisky scozzese e le Dolomiti.

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