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Distillerie: l’Italia fanalino di coda dell’Europa

Grappa. Ma anche liquori, Acquavite, Gin e da qualche anno anche Whisky. L’Italia è terra di distillazione, antica e contemporanea, ed è oramai un dato di fatto. Ma quali sono i numeri e in che orizzonte si inserisce la nostra produzione nazionale? 

Nel 2020 la produzione di spiriti di origine agricola nel mondo (numeri AssoDistil) ha avuto un decremento del 10% arrivando a un volume totale di 1miliardo e 178,3 milioni di ettanidri a fine 2020 partendo dal quasi 1 miliardo e 300mila dell’anno precedente. Un orizzonte in cui gli Stati Uniti la fanno ancora da padrone con 544 milioni di ettanidri, contro gli 83,4 milioni del continente europeo. L’Italia, nonostante la storia distillatoria inestimabile che la contraddistingue, occupa solo il quarto posto in graduatoria. La Francia si è collocata al primo con una quota del 20% della produzione, seguita dalla Germania con il 13%, la Russia e Ungheria con l’8% procapite parimerito e l’Italia  quasi fanalino di coda con poco più dell’1,4% del volume totale.  

Un volume che per la prima volta da molto tempo non vede in prima posizione i distillati da prodotti da uva, che sia vinaccia o vino. Acquavite, Grappa&Co. pesano solo 398 mila ettanidri su un 1milione e 110mila totali, mentre i distillati da cereali incidono per 697mila ettanidri, per un trend in decisa crescita, visto il grande futuro dei whisky italiani, sempre più rampanti. Una produzione contenuta, ma che sta registrando una crescita costante del 3% di media ogni anno. 

“Dopo decenni di chiusure – hanno spiegato infatti Claudio Riva e Davide Terziotti, organizzatori di Distillo la prima fiera Italiana per professionisti del settore -, stimiamo che in Italia possano aprire circa 200 nuove distillerie entro il 2030”. Considerando che per aprire una micro-distilleria artigianale sono necessari investimenti iniziali compresi tra i 60 e i 200mila euro, è possibile individuare in “DISTILLO” (e in fiere similari, ndr) un volano di sviluppo capace di generare un indotto di circa 100 milioni di euro nei prossimi anni. Il settore è rimasto a lungo stagnante, ha lavorato sulle ricette dei nonni senza metterci brio. La diffusione delle distillerie nata nelle valli alpine italiane – aggiungono – è stata trasferita nelle aziende medio-grandi a scapito del piccolo produttore. Adesso il sistema sta finalmente spingendo per far ritornare l’arte della distillazione come patrimonio pubblico”.

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